martedì, marzo 19, 2024

Edi Kermit Toffoli - Provincial punk. Le avventure di un giovane punk nell'Italia dei primi anni ottanta

Essere punk (o da quelle parti) in Italia a fine anni Settanta e per buona parte degli anni Ottanta era un bel problema.
Che si amplificava esponenzialmente vivendo in provincia.

Edi Kermit Toffoli fu uno dei primissimi a vestire quegli abiti scomodi a Gemona, nel Friuli profondo, da poco devastato dal terremoto.

Il libro (corredato da suggestive foto d'epoca) racconta quegli anni febbrili e incerti, la sua attività artistica (e vita) precaria con i Mercenary God e The Sex, le illusioni, le delusioni, la violenza, ma anche il divertimento, la passione, la gioia di vivere ai margini (Outside of society, that's where I want to be - Patti Smith Group da "Rock n roll nigger"), lo straniamento di fronte al'arrivo del rigore dell'hardcore.
Alla fine troverà una strada più sicura, diventerà autore (per i Nomadi) e musicista (Cleverness e professionismo da solista).

Un'ulteriore testimonianza di un'epoca, dalla quale escono sempre più ricordi e documenti, a dimostrazione della vitalità scomposta e anarcoide che c'era ai tempi anche da noi.

Edi Kermit Toffoli
Provincial punk. Le avventure di un giovane punk nell'Italia dei primi anni ottanta
Goodfellas Spittle
208 pagine
19 euro

lunedì, marzo 18, 2024

Gigi Riva

“Io sono uno che parla troppo poco, questo è vero. Ma nel mondo c'è già tanta gente
che parla, parla, parla sempre. Che pretende di farsi sentire e non ha niente da dire. Io sono uno che sorride di rado, questo è vero. Ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre. Però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro. Io sono uno che non dice chi è la sua donna, questo è vero. Perché non ammiro la gente che prima implora un po' d'amore e poi non appena l'ha avuto lo va a raccontare. Io sono uno che non nasconde le sue idee, questo è vero. Perché non mi piacciono quelli che vogliono andar d'accordo con tutti e che cambiano ogni volta bandiera per tirare a campare”.
E’ un brano di Luigi Tenco, del 1966.
Pare che Gigi Riva lo ascoltasse sempre, talvolta in maniera compulsiva.

Perché Gigi Riva amava la musica dei cantautori, lui con poca cultura alle spalle ma con una sensibilità che lo portava a capire chi, con le sue musiche e soprattutto parole, lo rappresentava.
Aveva vissuto un’infanzia difficile, il padre operaio morto quando aveva nove anni per un incidente sul lavoro, la madre poco tempo dopo, le tre sorelle con vari problemi fisici anche loro.
In casa giravano pochissimi soldi, la famiglia sfiorava la povertà.
Ma era una povertà dignitosa, condivisa con tanti altri nel paese natale, a Leggiuno, in provincia di Varese.
La madre è costretta a mandarlo a fare le medie in vari istituti religiosi, la cui disciplina ferrea e persecutoria lo forgia negativamente, lo rende ancora più chiuso e astioso nei confronti della società.

“Al paese non sapevo di essere povero, si tirava avanti, in collegio me lo fecero subito capire. Ci facevano sentire che eravamo lì per beneficenza, ci obbligavano a pregare per chi regalava il pane, ci imponevano l’obbedienza perché non potevamo permetterci, essendo poveri, nemmeno la vivacità”.

Incomincia a lavorare presto, montando ascensori, dividendosi con i campi da calcio, dove, da subito, eccelle.
Nel 1962 con l’ingaggio al Legnano, in serie C, arrivano i primi gol e qualche soldo, a rendere migliore la vita in casa.
In quel periodo il Cagliari militava in serie B ed essendo molto costosi i viaggi dalla Sardegna, per limitare le spese, giocava, alternativamente, due partite in casa e due in trasferta, facendo base, durante la permanenza in “Continente”, proprio a Legnano, dove i dirigenti rossoblu notarono il nuovo giovane talento, all’epoca diciottenne, e decisero di acquistarlo.

Riva, di fede interista e legatissimo ai suoi luoghi natali, non ne fu particolarmente soddisfatto.
La Sardegna era lontana, una terra ancora poco conosciuta e non sfruttata turisticamente, aspra, socialmente e a livello di infrastrutture ancora in una fase “arretrata”, dove venivano spediti per punizione i militari riottosi e dove la delinquenza costituiva un grave problema. Probabilmente non a caso Gigi finisce in un luogo così affine al suo carattere, pieno di rabbia e malinconia, vittima delle ingiustizie della vita e del potere, anticonformista, chiuso e refrattario alle imposizioni.

“Se non avessi fatto il calciatore sarei un contrabbandiere. Finivano tutti così al mio paese”.

Contribuisce con i suoi gol, la sua potenza, il suo ardimento, alla promozione in Serie A del Cagliari e alla salvezza l’anno successivo e nella stagione 1966/67 diventa capocannoniere con 18 gol.
Approda intanto in Nazionale, subisce il primo grave infortunio da cui si riprende presto e nel 1968 vince l’Europeo, nel 1970 arriva in finale, persa con il Brasile, ai Mondiali del Messico ma soprattutto porta lo scudetto, unica volta nella storia, a Cagliari nel 1970, a fianco di una squadra “operaia”, con pochi campioni e un allenatore unico, quel Manlio Scopigno, detto “il filosofo”, persona colta, bibliofila, perfettamente in linea con lo spirito dei suoi ragazzi. Gli arrivano offerte miliardarie per passare alla Juventus ma rifiuta sempre.

La Sardegna lo ha adottato e lui si è fatto adottare.

Tutti lo amano, lo proteggono, ne condividono carattere e modi. “Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto.
Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c’era tanta fame, come oggi purtroppo.
Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. 
Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito.


Anche il regista Franco Zeffirelli gli offre una cifra enorme, pare 400 milioni di lire dei tempi (l’equivalente di 3 milioni e mezzo di euro attuali), per essere il protagonista nel ruolo di San Francesco nel suo film “Fratello sole, sorella luna”. “Non mi vedevo proprio a fare l’attore, non ero fatto per recitare”.

Un altro grave infortunio ne compromette la carriera e impedisce al Cagliari, lanciato verso un’altra vittoria, di conquistare il secondo scudetto. Gioca due partite anche al Mondiale del 1974, chiudendo la carriera prima in Nazionale (rimanendo tuttora il capocannoniere con 35 gol in 42 partite) e poi definitivamente con il calcio giocato, restando però nello staff dell’amato Cagliari (successivamente della Nazionale).
“Andare via significava tradire questa gente che mi ha dato tanto, per non dire tutto. E che nei momenti in cui le voci di cessione si infittivano scendeva in piazza per impedire alla società di cedermi e sembrava disposta a buttarsi nel fuoco per me. O meglio, a buttarsi nel fuoco con il Cagliari per me”.

Gigi Riva ha avuto un amore incondizionato per un altro sardo acquisito, Fabrizio De Andrè, di cui adorava i dischi, la poetica, le parole, soprattutto “Preghiera in gennaio”, dedicata, non a caso, alla morte di Luigi Tenco.
Si incontrarono una sola volta, nel settembre del 1969, a Genova (dopo una partita contro contro il Genoa di cui De Andrè era tifosissimo).
Due taciturni che ci mettono un po’ ad aprire bocca, complici qualche whisky e un bel po’ di sigarette (entrambi accaniti fumatori). Alla fine De Andrè gli regalerà una sua chitarra, Riva una sua maglia numero 11.
Si riprometteranno di incontrarsi, soprattutto quando il cantautore prenderà casa in Sardegna. Ma Riva confesserà di essere passato ripetutamente davanti a casa sua ma di non aver mai suonato al campanello per paura di disturbare. A Gigi Riva sono stati dedicati libri, articoli, un film, alcune canzoni e due soprannomi stupendi come “Rombo di tuono” (Gianni Brera) e “Hombre vertical (Gianni Mura).

Per me Gigi Riva è stato un “padre mitologico”, una divinità, intoccabile, assisa sul trono della leggenda. Lo è stato da quel lontano 1969 (quando avevo ancora otto anni) e ancora adesso lo è, in qualche Olimpo o Paradiso a vegliare, sardonico, sulle miserie del mondo con quel suo sguardo distaccato, malinconico, ieratico, severo.
Quando in quell’anno arrivai a Piacenza dalla campagna piacentina, abbandonando campi, canali, fienili, vita selvatica, per quello che mi sembrava un inferno di cemento, discriminato in quanto “campagnolo”, timidamente solitario su una panchina di Piazza Duomo, trovai conforto in un occasionale amico, Massimo, che mi invitò a “giocare a pallone” con lui.
Sfoggiava una maglia della Fiorentina e mi chiese “per chi tenessi”.
Famiglia totalmente juventina in ogni ordine di grado non osai dire niente, per timore di perdere il mio unico, potenziale, amico.
“Va bene, tu sei il Cagliari” (ai tempi rivale per lo scudetto dei “viola”). Diventai “il Cagliari”, mi informai dettagliatamente su chi giocava in questa squadra esotica, lontana, oscura.
Le figurine Panini mi aiutarono, un poster di Gigi Riva troneggiò presto su un muro della mia cameretta.
Ancora più discriminato in quanto campagnolo e tifoso di una squadra del Sud, divenni Campione d’Italia nell’aprile del 1970.
A quel punto fui accettato e mi fecero giocare tutti, io con le calze alle caviglie come Domenghini, provavo a tirare di sinistro come Papà Gigi Riva ma con scarsi risultati, con il destro mi riusciva molto meglio.
Il tempo è passato, tanto tempo, ma quella maglia rossoblu con il numero undici, cucitami da mia mamma ai tempi, è ancora gelosamente custodita, come il gagliardetto commemorativo di quel 1970 “scudettato”.
La fede per il Cagliari immutata, nonostante tutti i tracolli e le tristi vicende sportive.

Sempre malinconici, scontrosi, ai margini, anticonformisti, noi tifosi del Cagliari, abbiamo il nostro personale santo protettore, Gigi Riva.

venerdì, marzo 15, 2024

The Jam - The lost album

I "lost album", quegli album pianificati ma mai realizzati, sono sempre stati materia affascinante e intrigante.

Nel caso specifico in realtà i JAM un lost album non lo hanno mai avuto anche se nel 1978, poco prima della registrazione dell'epico "All Mod Cons" si prefigurò una simile eventualità.
Il precedente "This Is Modern World" non aveva ottenuto un’accoglienza eccessivamente benevola dalla critica e dal pubblico e la preparazione per il nuovo lavoro si era fatta difficoltosa.
Occorreva una svolta.
Ma Paul Weller si trova a fare i conti con una preoccupante mancanza di creatività e il totale coinvolgimento con la propria compagna, Gill Price, lo porta a distaccarsi dal resto del gruppo, pensando anche allo scioglimento della band.

Il produttore Chris Parry, scelto per il nuovo lavoro, liquida i primi demo come inadatti.
Alcuni dei brani sono firmati dal bassista Bruce Foxton a cui dice in faccia: "Non sei un compositore, scordatelo e finché Paul non tornerà a scrivere, di questo progetto non se ne può parlare".

I due singoli usciti tra la fine del 1977 e gli inizi del 1978 non a caso contenevano una versione di un brano dei Kinks, "David Watts" (cantata prevalentemente da Bruce), un paio di discreti episodi firmati da Foxton, "News of the World" e "Innocent Man", e uno trascurabile di Weller "Aunties and Uncles (Impulsive Youths)".
La sola "A Bomb in Wardour Street" lasciava ben sperare, troppo poco però per celare un’inequivocabile impasse creativa.

Per il nuovo album ci sono anche la discreta "The night" di Foxton, in pieno stile 77 (recuperata come B side di "Down the tube station at midnight"), l'energica "Billy Hunt" (poi riregistrata per "All Mod Cons"), due titoli come "I want to paint" e "On sunday morning", di cui non esistono testimonianze sonore e "She's got everything" (stampato su un acetato in possesso di un noto collezionista mod), buona ma non esaltante canzone, tipicamente Jam.

"Come compositore non avevo idee, ero prosciugato. Le canzoni non erano all'altezza degli standard.
Era un brutto periodo per i Jam e i problemi arrivavano principalmente da me. Scrivevo solo canzoni sdolcinate, cercando di essere flashy o arty.
E sappiamo bene che non erano cose che avevano a che fare con i Jam".
(Paul Weller)

Dopo una fase di crisi profonda, Paul torna per un po’ ad abitare con i genitori a Woking, ritrovando, così, tranquillità e ispirazione.

Allontanato Chris Parry e assoldato il nuovo produttore Vic Coppersmith Heaven, i Jam si buttano a capofitto in "All Mod Cons", il primo capolavoro della band.

Registrato a Londra tra il 4 luglio e il 17 agosto 1978 in un clima, ricorda Foxton, “felice e rilassato, soprattutto vedendo che i brani uscivano alla perfezione e ci rendevamo conto che stava succedendo qualcosa di speciale”, porterà i Jam al sesto posto delle chart inglesi, vendendo più di 100.000 copie.

GRAZIE A CPT.STAX per la consulenza.

giovedì, marzo 14, 2024

Punky Reggae Party - Punk e reggae 1977

Riprendo l'articolo che ho scritto sabato scorso per "Il manifesto" nella sezione "Alias".

Nel 1977 la giornalista inglese Vivien Goldman, al lavoro per un articolo per "Sounds" sulle connessioni tra punk e reggae che stavano emergendo nella nuova scena inglese, intervistò Bob Marley e Lee Scratch Perry, di stanza a Londra per registrare "Exodus".
Bob cercava un ambiente più tranquillo dopo essere scampato ad un attentato a Kingston, in Giamaica.
Non che da quelle parti fosse tutto tranquillo (vedi gli scontri al carnevale di Notting Hill) ma sicuramente la vita era un po' più al sicuro.
Vivien portò con sè l'acetato del primo album dei Clash (che uscirà l'8 aprile) e fece ascoltare ai due la versione di "Police and thieves", brano di Junior Murvin che era stato prodotto proprio da Lee Scratch Perry.
All'inizio i due apparvero "spaventati" dalla voce roca di Joe, così in contrasto con il dolce falsetto che caratterizza l'originale.
Bob disse: "E' diverso ma mi piace. I punk sono i reietti della società. Così come i rasta. Anche loro difendono ciò che noi difendiamo".

Poco tempo dopo registrò il brano “Punky Reggae Party” che uscì nel 1977 su 12 pollici, solo in Giamaica.
Divenne poi la B side di "Jamming" e successivamente venne ripresa in versione live in "Babylon by bus" e comparve in numerose compilation.
Il testo fa chiaro riferimento alla scena punk, citando una serie di band dell'epoca, Jam, Damned, Clash, Dr.Feelgood e ripetendo “New wave, sei coraggiosa”.
Lo stupore di Bob Marley era immotivato, in quanto da parecchio tempo la musica caraibica (dal calypso allo ska fino al reggae) era entrata stabilmente nelle orecchie e nella cultura inglese.

Come sostiene Don Letts, DJ e tra i principali responsabili dell'arrivo del reggae nel punk:
"Tra il 1969 e il 1974 i dischi della Trojan Records erano nelle classifiche quasi ogni mese. Una serie senza precedenti di dischi che le persone hanno finito per cantare nei campi di calcio fino ad oggi. Fanno parte del patrimonio culturale dell’Inghilterra. È diventato parte della coscienza del popolo britannico. Forse non per tutti, ma abbastanza da rendere questo posto vivibile."

Don Letts, chiamato, come Dj, a riempire gli spazi vuoti durante i cambi di palco tra i vari gruppi punk che si succedevano sul palco del Roxy Club a Londra, in mancanza di materiale da suonare (il punk era agli albori e dischi ne erano usciti ancora pochi) iniziò a utilizzare brani reggae.
In buona parte sconosciuti ai giovani punk anche se personaggi come Joe Strummer e Paul Simonon (quest'ultimo cresciuto a Brixton) avevano già buona dimestichezza con il genere.
Già alla fine degli anni Cinquanta le decine di migliaia di giamaicani e altri caraibici arrivati in Gran Bretagna (che ben presto scopriranno non essere “madre” ma perfida matrigna) portarono con sé tradizioni culturali e dischi dal ritmo in levare.
Non a caso Georgie Fame and the Blue Flames nei primi anni Sessanta avevano in repertorio alcuni brani ska per allietare le serate dei primi mod londinesi e non esitò ad arruolare Rico Rodriguez, trombonista appena arrivato dalla Giamaica.
“Come musicista era difficile essere riconosciuto se non eri europeo o caucasico.
Quindi quello che facevo era quello che fanno tanti immigrati cioé stare con la mia gente, ma non portava soldi. Ho avuto la mia prima occasione quando ho iniziato a suonare con Georgie Fame. Suonava in un posto chiamato The Roaring Twenties a Carnaby Street. Dopo di che ho iniziato a registrare regolarmente con Laurel Aitken e ho suonato anche con Dandy Livingston. Quei primi anni in Inghilterra li ricordo per lo più come molto duri."


Nel 1964 “My boy lollipop” di Millie Small, dal ritmo classicamente ska, sbanca le classifiche britanniche e americane e istituzionalizza la musica giamaicana.

Nel 1968 nasce la Trojan Records, decisiva nel produrre e importare musica caraibica in Inghilterra, addirittura i Beatles ne prendono spunto per “Obladì Obladà”, la neonata scena skinhead la rende colonna sonora delle sue serate.
L'arrivo del punk fu un catalizzatore per le istanze socio politiche di bianchi e neri che, come dice Marley, si ritrovarono uniti dagli stessi problemi e i medesimi propositi.

Ancora Don Letts: “La cosa interessante era che i giovani bianchi della working class apprezzavano davvero il sound e l'atmosfera anti-establishment dell'intera cosa, amavano le linee di basso e il fatto che i testi parlassero di qualcosa; era come un reportage musicale. L'altra cosa bella è che c'è stato questo interessante scambio culturale. La loro musica incominciò ad essere influenzata da ciò che suonavo al “Roxy”.
Vedi i Clash o quando i Pistols si sciolsero e i Public Image iniziarono, tutto ruotava attorno alla linea di basso.
Le Slits sono un altro grande esempio di crossover reggae punk.
Ciò che il reggae ne ha ricavato è stata l’esposizione, che non è qualcosa da sottovalutare.
All'epoca non era un suono così popolare, ma tre cose lo hanno portato alla ribalta: il film “The Harder They Come”, la scena punk e Bob Marley. Quindi è stata una cosa bellissima vedere queste persone andare avanti comprendendo le nostre differenze, piuttosto che cercare di essere uguali. Sono davvero un prodotto di quello che ora chiamano il “Puny Reggae Party”, una testimonianza della forza della cultura nell’avvicinare le persone. Alla fine degli anni '70 esplode il punk rock, tutta l'etica del Do It Yourself, questa energia così contagiosa dalla quale vuoi essere coinvolto. Non era uno sport per spettatori. Tutti i miei fratelli bianchi presero in mano le chitarre. Anch'io volevo raccogliere qualcosa. Presi una videocamera Super-8, ispirata all'etica punk DIY e iniziai a filmare le band. Poi ho letto sulla stampa musicale: “Don Letts sta girando un film punk rock”
.
Ho pensato:
"È una buona idea, lo chiamerò un film".
Quello è stato effettivamente il mio primo film, tutto con la potenza e l'ispirazione del punk rock.”

Il reggae si diffonde presto nella scena punk.
I Clash ne fanno ampio uso, i Police ci costruiscono letteralmente un nuovo sound, in cui all'energia mutuata dal punk uniscono la capacità di renderlo irresistibilmente pop e fruibile, le Slits sperimentano inserendo trame new wave e punk a linee di basso dub, i Members arrivano dal pub rock, inaspriscono il sound verso il punk ma, fedeli al verbo Clash, utilizzano volentieri ritmi in levare.
Nel luglio del 1977, Johnny Rotten, ancora leader dei Sex Pistols chiamato in un'intervista radiofonica a scegliere una serie di brani da trasmettere monopolizza la trasmissione con canzoni reggae.
Quei suoni e ritmi che ritroveremo in abbondanza, scarnificati e scartavetrati nei Public Image LTD, sua successiva incarnazione artistica.
I nord irlandesi Stiff Little Fingers nel furibondo esordio “Inflammable material” del 1979 coverizzano “Johnny Was” di Bob Marley, i Ruts di Malcolm Owen nel primo album “The crack” mischiano irruenza, grande tecnica e tanto dub e reggae (soprattutto nella stupenda “Jah war”).
Non dimenticando il singolo reggae del 1977 di Elvis Costello “Watching the dectives”, l'incedere, dello stesso anno, minaccioso di “Peaches” degli Stranglers, il Joe Jackson di “Sunday papers” e “Beat crazy”.

E la fine dei Settanta ci porta la “rivolta” TwoTone records con Specials, Madness, Selecter, The Beat a riprendere lo ska originale , accelerarlo e fonderlo con l'urgenza punk e riportare quei ritmi, atmosfere in classifica, unendoli spesso a testi militanti.
Uniti alla nascita di una scena reggae autoctona con nomi come Steel Pulse, Aswad, UB40 e alla “dub poetry” di Linton Kwesi Johnson, rendono la musica caraibica parte integrante di quella Britannica.
Per sempre.

mercoledì, marzo 13, 2024

Linus #3

Spettacolare numero di LINUS con speciale dedicato a GIGI RIVA.

Ci sono scritti mozzafiato di Gianni Brera (veramente spettacolare), Gianni Mura, Giuseppe Sansonna, Giorgio Porrà, Gigi Garanzini, fumetti dedicati a Gigi e foto rare e spettacolari.
In mezzo decine di aneddoti, alcuni dei quali poco conosciuti.

Per i tifosi del CAGLIARI come il sottoscritto difficile trattenere la commozione ma la lettura è ugualmente consigliatissima a chiunque apprezzi il concetto di CALCIO, nella sua accezione più pura.

martedì, marzo 12, 2024

Subbaculture #11

E' uscito il numero 11 di una delle riviste/fanzine più interessanti in circolazione: SUBBACULTURE.
300 copie numerate, 80 pagine in cui si parla in maniera approfondita, colta, minuziosa, di aspetti di varie sottoculture (mod e skinhead e dintorni, in particolare).

Bellissima e dettagliatissima l'intervista a David Storey, il grafico della 2Tone Records, interessantissima quella a Tim Wells sulla cultura skinhead.
Si parla anche del film "Babylon", della moda degli skaters negli 80, delle radici del Mod e Skinhead "revival" a fine anni 70 (con particolari e distinguo perfettamente azzeccati), dell'importanza dell'amico e poeta Dave Waller sulla scrittura di Paul Weller, delle fanzine inglesi tra il 1977 e il 1980 e tanto, tanto altro.

Ne scrivono David Storey, Mathew Worley, Paul 'Smiler' Anderson, Tim Wells, Mark Hinds Peter Jachimiak e Ian Trowell.

"Finding the "provincial" material was great. The only punk in village. They gave a real insight into how long punk's influence mainteined...and what punk meant away from London's central....they also gave sense of what punk meant to people and how punk evolved in different ways in diffeent places.
A fanzine was certainly easier to do than form a band, though the idea that it was always "cheap" and you couldn't just "do it" perhaps overstates things."

(Matthew Worley, autore del libro "Zerox machine: Punk, post Punk and fanzines in Britain 1976-1988"

"Everything about their initial existence, and in turn proliferation, was born from that EARLY SIXTIES period.
Newness was everything, yesterday was gone, last week worthy of nothing, insisting on forging foward.
As the nation's fortunes shifted in the early seventies that run of ever changing looks and street led style scenes faded, disappeared from view."


Yet both these scenes would reappear as separate entities at the very end of the decade in which their shared lineage had dissolved.
This time around the economic situation bore little resemblence to that of the previous decade.
Unemployment was rising, easy opportunities for youth something from another era.
The idea was dressing up, the desire for a sense of belonging, appeared not as a pace setting view of the times but more as a route out of the humdrum, an alternative to the mainstream and surounding economic failures.

(Mark Hinds)

YOU HAD TO GET INVOLVED TO BE INVOLVED

Per averlo
https://subbaculture.bigcartel.com/product/subbaculture-11

lunedì, marzo 11, 2024

Casino Royale


Riprendo l'articolo scritto ieri per "Libertà" e dedicato ai CASINO ROYALE e alla recente ristampa del loro "Dainamaita".

I Casino Royale sono stati e sono uno dei progetti più originali e interessanti della scena musicale italiana in assoluto.
Tra le poche realtà nostrane che hanno saputo evolversi costantemente, passando dallo ska e reggae degli esordi, a rock, elettronica, hip hop, dub, assorbendo di volta in volta tendenze e influenze che arrivavano da Inghilterra e Stati Uniti, sapendole dosare nel migliore dei modi in un contesto, come quello nazionale, dove l’abitudine diffusa è quella di importare i modelli stranieri (quasi esclusivamente anglosassoni), senza alcuna personalizzazione.
Hanno collaborato con prestigiosi personaggi come Howie B, Tim Holmes, Mikey Dread (ex sodale dei Clash) tra i tanti, aprendo il tour italiano degli U2 nel 1997, viaggiando con la creatività e anche fisicamente tra Milano e Londra, spostandosi in atmosfere metropolitane, multiculturali e multietniche, ben prima che questa fosse una realtà quotidiana anche in Italia.

La loro attività è stata altalenante, tra momenti di sosta, ripensamenti, sperimentazioni, che non hanno però mai fatto perdere loro un ruolo di primaria importanza nella nostra scena artistica.
Lo conferma la recente ristampa (vinile in tiratura limitata con nuovi remix di due brani), nel trentennale della pubblicazione, di “Dainamaita”, loro quarto album, un'esplosione di ritmi, di funk, dub, rock, tempi (ancora) in levare, hip hop, vero gioiello da rivalutare e valorizzare come merita.

Sono stati tra i primi a intercettare l’esigenza di mischiare musiche e culture, pur partendo da radici inequivocabilmente debitrici al mondo ska, rocksteady, original reggae, soul, che accompagnarono i primi tre album “Soul of ska”, “Jungle Jubilee” e “Ten golden guns” (tra il 1988 e il 1990).

Alioscia Bisceglia, voce della band, unico membro originario della formazione attuale, ricorda quegli esordi.
“Siamo figli della New Wave intesa come moltitudine di nuovi stili o nuove sintesi. Il nostro amore per i Clash ci ha sempre portato a seguire quel filo rosso che legava la nostra passione per quel tipo di contro cultura, schierata, meticcia e antirazzista.
E quel filo ci portato dritti nel mondo del reggae e quindi, andando a ritroso, in quello dello ska, prima e poi quello del reggae giamaicano anni Sessanta. Lo ska agli inizi degli anni Ottanta era arrivato con l’ondata new wave insieme a mille altre cose, dal Rockabilly, al New Romantic, all’elettronica di Sheffield, a quella di Berlino, la No Wave di NYC.
C’era molta curiosità, entusiasmo e fame di novità, non molta consapevolezza delle radici di certi fenomeni, a pochi interessava storicizzare questi fenomeni, che erano anche molto recenti, venivano nella maggior parte dei casi vissuti come tendenze o mode. Io vivevo dei racconti di quelli più grandi, delle storie che mi raccontavano, del loro sapere che “tramandavano” se ti vedevano interessato e appassionato.
Ci ritrovavamo in quel suono così meticcio e trasversale e con entusiasmo ci siamo buttati lì dentro, suonando anche roba italiana classica tipo “Caravan Petrol” di Renato Carosone. Poi abbiamo iniziato ad andare a suonare a Londra e a conoscere la scena europea nei vari Ska Festival.”


La band parte da queste radici ma a un certo punto non si accontenta più di fare riferimento a suoni datati, per quanto stimolanti. Quando arrivano gli anni Novanta il mondo musicale e culturale pulsa di nuove idee, stimoli, tendenze.
Le chitarre inizialmente lasciano il posto a elettronica, rap e musica dal mondo (prima di riprendersi la scena con le distorsioni del grunge). Con “Dainamaita” (1993), “Sempre più vicini” (1995) e “CRX” (1997) la strada dei Casino Royale prende ritmi sempre più complessi, in cui funk, reggae, soul, hip hop, soul si mischiano, le parole continuano a graffiare con una visione ideologico e sociale che va oltre lo slogan o l'invettiva.

Ancora Alioscia:
”Se noi non avessimo cercato di “crescere” ci saremmo accasciati su noi stessi e saremmo diventati un gruppo di cover delle cover delle cover. Non che questa cosa non avrebbe funzionato, perché un pubblico di nostalgici che rimane legato a quello e basta chiaramente c’è stato. Anni dopo il progetto BlueBeaters (in cui membri della band hanno rpseguito a suonare ska) l’ha dimostrato. Ma la fame, l’interesse per il resto era forte, non abbiamo mai rinnegato nulla, nulla di ciò che abbiamo amato. Ma nel nostro mondo si intrecciavano storie di persone a suoni, i nostri gruppi preferiti già mescolavano stili e più che suonare un genere, noi avevamo un’attitudine e non volevamo annoiarci ed essere ripetitivi e secondo noi, almeno per me tornava tutto. E negli anni la storia ci ha dato ragione.
Chi parlava di incoerenza voleva solo romperci il cazzo e forse manco ci capiva tanto, visto che poi abbiamo lasciato campo a dei nuovi gruppi ska il cui prodotto era veramente di dubbio gusto.
Ma per quelli grandi applausi, forse abbiamo creato dei mezzi mostri. Siamo cresciuti con quello e come tanti altri artisti siamo arrivati ad altro partendo da li.
“Dainamaita” è pieno di campionamenti di vinili ska anni Sessanta”.


Nel 1997 lo storico cantante Giuliano Palma, che divideva e alternava il microfono con Alioscia, se ne va per seguire altre strade, rimanendo fedele alle origini ska e intraprendendo poi una carriera più “commerciale” e fruibile.
La band si ferma in un momento di stasi, con la necessità di ripensamenti e di ricostruzione di un progetto così ambizioso e in movimento.
Sarà un percorso lungo e ci vorranno nove anni per il nuovo album “Reale” (2006), prodotto da Howie B e altri cinque per “Io e la mia ombra” (2011) che spostano le coordinate ancora verso nuove direzioni, in cui lo spirito e il suono cambiano di nuovo, cercano strade meno ostiche, guardano a onde più pop ma sempre personali, originali e soprattutto ben riconoscibili.

Nel 2020 l’album/progetto multimediale “Quarantine Scenario” entra in tempo reale nella narrazione dei giorni del lockdown, da cui nasce un cortometraggio diretto da Pepsy Romanoff.
Nel 2021 nuovo cambio di formazione e nuova uscita con l'ep "Polaris", trainato dal singolo "Fermi alla velocità della luce": altro cambio di passo, nuova esplorazione sonora densissima e molto interessante (per avere un'idea dei Casino Royale di oggi basta cercare su Youtube il loro concerto all'OGR di Torino dell'anno scorso: non resterete delusi). "Musica dei tuoi simili" come dice Alioscia durante i concerti per richiamare l'idea della comunità di supporter e fedelissimi che resiste al tempo e anzi aumenta.

La visione del mondo attuale è come sempre lucida..
I Casino Royale guardano con attenzione la loro Milano e quanto ci accade intorno.
Quelle contaminazioni da altre culture che paventavamo e desideravamo, guardando a quanto accadeva a Londra o New York, ora sono una realtà quotidiana in ognuna delle nostre città. Decine, centinaia di uomini e donne portano le loro lingue, usanze, musiche, arte. Come ci confrontiamo e soprattutto, come si rapportano le nuove generazioni?
Alioscia dice:
“ I cambiamenti ci sono e sono positivi. I ragazzi si esprimono più liberamente, hanno meno pregiudizi sull’identità di genere e razza, questa cosa è innegabile. Certo sono spesso nichilisti in un altro modo, sono allineati al mercato, lo condizionano e si fanno circonvenire. Sono molto meno “ideologici” ma hanno spesso un forte senso di “giustizia”. Mi spiace che in questa fruizione della cultura/snack attuale, legata molto al mercato, ai social e al consenso misurato dai like ci sia meno spazio e tempo per il racconto. Io come raccontavo sopra stavo a bocca e orecchie aperte ad ascoltare quelli più grandi me raccontare “la storia” , ora percepisco una rivalsa che non comprendo, una voglia di riscatto che non capisco, una voracità nell’affermarsi che a volte mi spaventa o meglio mi allarma.
Per molti giovani il percorso è individuale e la mira è quello di arrivare in alto quasi ad ogni costo. Questo crea un attitudine individualiste e predatoria che purtroppo è figlia di questi tempi e dei modelli di “progresso” che vengono promossi. Se non arrivi in cima sei un perdente.”


I Casino Royale proseguono e come sempre si mischiano con ciò che accade intorno, si alimentano di nuove cose pur nella precarietà come sottolinea ancora Alioscia:
“Siamo un gruppo “nebulizzato” viviamo tutti vite diverse, in luoghi diversi e ci troviamo tra noi nella nostra moltitudine purtroppo molto di rado. Alcuni suonano per professione, altri hanno progetti paralleli e lavori. Negli ultimi anni con immenso sforzo abbiamo prodotto cose interessanti, con il supporto e la collaborazione di quella che definisco una comunità che si sente legata alla storia ed al percorso di Casino Royale.
Ora è in lavorazione un altro Ep che potrebbe essere finito a breve, ma noi siamo qui a fare a cazzotti con il nostro quotidiano e trovare il tempo per immergersi nella musica è sempre un accadimento raro che ci fa capire quanto siamo stati privilegiati in passato. C’è da dire che quando ci troviamo siamo abbastanza prolifici e che il prossimo lavoro ha già una forma abbastanza definita, sarà secondo me l’ennesima sorpresa.”

sabato, marzo 09, 2024

Rock4Kids


Siamo tornati con Gianni Fuso Nerini a scuola (De Amicis di Piacenza) a parlare con i bambini di terza elementare.
Siamo partiti dalla nascita della musica (strumenti primitivi, prime forme di musica e composizione), abbiamo parlato del suono (gli ho fatto "eseguire" "4.33" di John Cage...), della voce (con filmato di Demetrio Stratos), abbiamo mostrato chitarra e basso elettrico (grazie al prezioso aiuto e alla disponibilità di Denis Cassi, dei Backdoor Society).
Entusiasmo, partecipazione, stupore sincero = la bellezza.
I semi sono stati buttati, chissà che un giorno qualcosa di bello germogli.
Grazie a Simona Bollani per il coordinamento e alle Maestre per l'aiuto e l'empatia.

Il progetto "Rock4Kids" ha come scopo primario accendere nei giovani la passione per la Musica, alimentare la loro curiosità, avvicinarli agli anni in cui la musica iniziava a sperimentare svariati generi, spesso senza troppe dinamiche commerciali, ma solo con il fine di creare un prodotto autentico e di qualità.
Un prodotto che potesse portare avanti un messaggio, che fosse di amore e di fratellanza o di protesta e disperazione; segni e gesti importanti che restano nel cuore del suo ascoltatore, rendendo quel pezzo intramontabile.
La missione di Rock4Kids è incredibilmente ambiziosa, nella sua assoluta semplicità: avvicinare le giovani menti alle radici della musica popolare, coglierne i messaggi e riportarle a una dimensione più genuina ed essenziale.
Ieri si è tenuto l'ultimo incontro dell'anno scolastico 2023-24 e l'entusiasmo dei bambini e degli insegnanti ci ha commosso e sorpreso.
Per tutti noi è stata un'avventura formativa e rigenerante, un percorso che ha gettato qualche piccolo seme qua e là.
Non finisce qui, il sottomarino giallo si prepara per nuovi fantastici viaggi!

(Simona Bollani, coordinatrice di Rock4Kids)

https://www.piacenzasera.it/2024/03/rock4kids-in-classe-il-progetto-che-insegna-ad-amare-la-musica/528289/

venerdì, marzo 08, 2024

Les Amazones d'Afrique

Riprendo, in occasione dell'Otto Marzo, l'articolo scritto al proposito domenica scorsa per il quotidiano "Libertà", nell'inserto "Portfolio" diretto da Maurizio Pilotti.

L’approssimarsi dell’Otto Marzo ci porta ogni anno a fare considerazioni speranzose e dense di auspici sulla condizione delle donne, in una società che si reputa moderna, all’avanguardia, paritaria, inclusiva. Ma l’attualità,ogni giorno, ci conferma come poco o nulla stia cambiando e il retaggio maschilista, il muro inscalfibile della predominanza maschile nel mondo del lavoro, nella società, nei ruoli apicali, sia ancora ben stabile al suo posto.
Per non parlare della violenza nei confronti delle donne che non accenna a ridimensionarsi e che non di rado viene sminuita per ragioni politiche o per semplice ignoranza dai media e dalla gente comune.
Si parla, giustamente, di educazione. Le denunce, il carcere o le condanne non cambiano, se non raramente, la mentalità.
Ci vuole l’educazione, che parta dall’infanzia, dalle scuole primarie ma anche in questo caso il tutto è spesso delegato alla buona volontà e visione prospettica di insegnanti saggi e previdenti che si sostituiscono a istituzioni in perenne ritardo e sempre meno attente al bene comune e all’aspetto civico.
Ma l’educazione la possono, anzi la devono, fare anche l’arte, la musica, lo spettacolo.

Spostiamoci in Africa Centrale, vastissimo territorio, martoriato da guerre, povertà, estremismi e, ultimamente, da una serie di golpe che hanno portato, se ce ne fosse stato bisogno, ulteriore autoritarismo, incertezza e abbandono delle esigenze delle persone.
E’ il luogo in cui si suppone abbia le radici il blues, portato nelle Americhe da quegli uomini e donne che proprio in questi luoghi furono schiavizzati nei secoli scorsi.
Quella musica che divenne la colonna sonora delle loro tristi esistenze e che nel corso del tempo si ibridò con le tradizioni dei coloni britannici, con i canti religiosi europei e che alla fine ci consegnò quell’incredibile mix di influenze che si chiamò blues, jazz, gospel, spiritual e alla fine rock ‘n’ roll e soul.

E’ qui che nel 2014 nasce un collettivo femminile e femminista, Les Amazones d’Afrique, grazie a un’idea di Valerie Malot, direttrice esecutiva e artistica dell'agenzia francese editoriale 3D Family (il cui obiettivo principale è promuovere artisti jazz e di world music) insieme a tre delle principali artiste della musica del Mali, Oumou Sangaré, Mamani Keïta e Mariam Doumbia (del favoloso duo Amadou e Mariam).
La direzione ideologica fu subito chiara e precisa, come sottolinea Malot: “Quello che abbiamo scoperto è che la repressione femminile nel continente e nel mondo è qualcosa che tocca ogni donna. Non è una questione di colore o di cultura.
È qualcosa di generico. Tutte le donne possono identificarsi in questo aspetto.”


Il progetto partì con queste premesse, cantare contro le discriminazioni di genere, contro la violenza, l’ingiustizia, educare le persone attraverso la musica, con le voci di donne conosciute, rispettate, seguite, con decine di migliaia di fan in tutta l’Africa.
Mischiando sonorità provenienti dal luogo di ognuna delle protagoniste ma attualizzandole con un approccio moderno, spesso vicino all’elettronica, all’hip hop, al pop. Occorre ricordare e sottolineare quando sia fallace l’abituale definizione che spesso usiamo noi occidentali di “musica africana”.
L’Africa ha cinquantaquattro stati, quasi duemila lingue (un numero imprecisato di dialetti), di cui settantacinque parlate da almeno un milione di persone, da cui conseguono forme culturali e musicali diversissime e di enorme complessità (soprattutto ritmica).
Le similitudini ovviamente ci sono ma sono più frequenti le differenze, anche sostanziali, tra, ad esempio, la tradizione del Corno d’Africa o quella nigeriana o quella congolese.

Al nucleo originario si unirono altre voci del Mali cone Massan Coulibaly, Mouneissa Tandina, Kandia Kouyaté, Rokia Koné, Inna Modja (franco maliana) e anche Angélique Kidjo dal Benin, Nneka dalla Nigeria, Pamela Badjogo dal Gabon.
A cui dopo il primo brano composto, “I play the Kora” (la Kora è uno strumento a corde usato nell’Africa dell’Ovest a lungo proibito alle donne. Da qui il titolo metaforico, “Io suono la Kora”) del 2015 si aggiunsero, talvolta sostituendo altre componenti, musiciste dalla Guinea, Costa d’Avorio, Burkina Faso. Tutte con altri progetti musicali in attività ma che, come dice Kandy Guirà “ci ritroviamo insieme per cantare di qualcosa che conta”.

Fafa Ruffino, franco-beninese, recentemente aggregatasi al progetto, spiega il fulcro dell’attività del collettivo in un’intervista ad AfroPop.org:
“Il nome "Amazzoni" deriva dalle donne guerriere dell'impero del Benin. Avevano un esercito di femmine. Ed è per questo che ci chiamiamo così, perché stiamo andando in guerra. È una guerra per difendere i diritti delle donne. Qui in Europa parliamo molto di uguaglianza di genere, ma in molti paesi dell’Africa, e anche in altre parti del mondo, le donne non godono dei diritti umani fondamentali. Ci sono giovani donne costrette a sposarsi, giovani donne che subiscono la mutilazione genitale ed è davvero un tabù parlarne. Inoltre, la società è diventata molto, molto patriarcale e le donne non hanno il diritto di dire nulla. Portano semplicemente questi fardelli e li trasmettono alle loro figlie. Ma oggi sono molte di più le donne che lottano contro tutto questo. Il cambiamento non è domani.”

Niariu, nata a Parigi, figlia di genitori Guineani rincara la dose: “Sta succedendo ora. Ci sono molte donne che si sollevano e lottano per questo, e dobbiamo dire loro che siamo tutte insieme e che siamo qui. Il problema è che non si connettono tra di loro. Vogliamo quindi che questo movimento connetta tutte le donne in modo che sappiano che non sono sole. Siamo tutte qui l'una per l'altra. E anche se senti che stai combattendo da sola nel tuo angolo, siamo tutte insieme e con te. La verità è che alle donne è stato fatto il lavaggio del cervello per secoli. È stato detto loro che sono meno degli uomini.
Quindi ora devono sapere che condividiamo un cervello. E noi siamo ancora più potenti degli uomini, sai? Portiamo un bambino per nove mesi! Questo è così potente. Questo potere ci è stato dato da Dio, o da qualunque cosa tu creda. Non si tratta, sai, di dire che gli uomini siano tutti cattivi. E non tutte le nostre canzoni parlano del tema della mutilazione genitale. Abbiamo canzoni sui matrimoni forzati e anche sulle vedove. Come in Benin, abbiamo tribù e un re. Che ha quattro regine. Quando muore, il nuovo re deve prenderle come mogli.
È così disgustoso. È pazzesco.
Questa legge è legale ed è ancora in vigore oggi. Ma le tradizioni si evolvono e si sono sempre evolute, ma è importante ricordare che abbiamo avuto anche la colonizzazione. Quindi abbiamo avuto un grande cambiamento nelle nostre tradizioni e avverto, nella post-colonizzazione, che in qualche modo siamo tornati indietro nella società”.


Les Amazones d’Afrique hanno inciso due album.
“Republique Amazon” è del 2017, pubblicato per la Real World di Peter Gabriel (dopo aver suonato al festival da lui organizzato, l’ormai famoso WOMAD Festival), con connotati più funk e tribali e i cui proventi sono andati alla Panzi Foundation, che cura le donne vittime di mutilazioni sessuali nella Repubblica Democratica del Congo.
Nell’album l’ipnotica “La Dame et ses valises” che l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inserito nella sua annuale playlist di sue canzoni preferite, nel 2017:
“Vedo il modo in cui gestisci il tuo dolore / Perché sei rimasta in quell'oscurità per troppo tempo / Donna, non sai che sei una regina / Ma siccome la regina non c'è mai, tienilo in mente / Sicuramente saprai ricordare a loro cosa ti hanno fatto”.

Anche “Amazones Power” del 2020 è stato un album particolarmente significativo ma è con il recente “Musow dance” che il collettivo raggiunge il massimo dell’espressività, grazie anche all’intervento nella produzione di Jacknife Lee, uno che ha già lavorato con U2 e Taylor Swift e che inserisce arrangiamenti arditi, futuristi, innovativi in un contesto tradizionale, creando un effetto che fotografa al meglio la cultura africana (con i distinguo del caso) odierna.

Un miliardo e 200 milioni di persone con un’età media di diciannove anni.
Un potenziale immenso che pensa, crea, immagina, lavora, cresce, inventa.
E di cui Les Amazones d’Afrique sono una delle tante voci.
Ascoltiamole e ci si aprirà un mondo.
Anzi un Continente.

giovedì, marzo 07, 2024

Tony Face Big Roll Band - Old Soul Rebel

“Old Soul Rebel” è stato, nel 2009, l’album d’esordio della Tony Face Big Roll Band, personale omaggio al mondo mod.
A fianco del sottoscritto alla batteria, una valanga di ospiti, amici e conoscenti, per 15 brani + 2 bonus tracks.

L'album fu costruito progressivamente, incidendo basi mandate poi in giro per il mondo ai vari ospiti.

Con la partecipazione di Bob Manton dei Purple Hearts, Chris Philpott degli Small World, il compianto Tony Perfect dei Long Tall Shorty, Allan Crockford (Prisoners, JTQ, Galielo 7), Adrian Holder (ex The Moment), Oskar Giammarinaro degli Statuto, Rita Lilith Oberti, Luca Re dei Sick Rose e Il Senato, Sergio Milani dei Kina, Doug Roberson dei Diplomats of Solid Sound, Paolo Apollo Negri, il Link Quartet, Yo Kalb dei Soulsnatchers, i Temponauts, i Mini Vip, Lucio Calegari dei Wicked Minds, Kathy Ruestow e Abbie Sawyer delle Diplomettes.

Il CD è reperibile presso www.areapirata.com o scrivendomi su www.facebook.com/tonyface.bacciocchi

1) INTRO
Un collage di rumori e suoni, messo insieme in studio, un po’ alla “Revolution 9”. Era l’intro della mod opera rock inizialmente concepita, poi lasciata decadere.
Ci sono gli Who, Quadrophenia, i Beatles, Robert Johnson, i Mondiali del 2006, Fidel Castro, Jacqueline Taieb, George Best.

2) SOMEBODY STOLE MY THUNDER
Un'eccellenza dal crepertorio sterminato di Georgie Fame, tra i miei preferiti di sempre.
Suona il LINK QUARTET del periodo “Beat.it” (2002, quello che reputo il migliore), canta l’immensa voce del grandissimo CHRIS PHILPOTT degli SMALL WORLD.

3) CAMEL WALK
Un brano delle Ikettes (le coriste di Ike & Tina Turner) dei mid 60’s , suonato da me, PAOLO APOLLO NEGRI al piano e Hammond, DOUG ROBERSON dei DIPLOMATS OF SOLID SOUND alla chitarra e YO KALB degli olandesi SOULSNATCHERS alla splendida voce.

4) ABBA
Gioiello degli svedesi Paragons del 1966. Un jingle jangle garage (già rifatto dai Cynics, il cui cantante ringrazio per avermi spedito il testo corretto).
Suonato, con PAOLO APOLLO NEGRI al Farfisa, i TEMPONAUTS alle chitarre e basso, e cantato dal mitico LUCA RE dei SICK ROSE.

5) HARLEY GNARLEY / GLORY BOYS
Un brano appositamente composto da ADRIAN HOLDER ex leader dei MOMENT (grandissima mod band dei mid 80’s) con me alla batteria e Paolo Apollo Negri all’Hammond e Fender Rhodes che abbiamo suonato sotto la sua traccia vocale e di chitarra.
Alla fine un frammento di una cover di “Glory Boys” dei Secret Affair registrato live nel 1980 con i CHELSEA HOTEL (quando a fianco di brani punk suonavamo anche brani mod di S.A., Jam, Chords).

6) HEY BULLDOG
Sempre con Paolo Apollo Negri ma affiancato da due giovani promesse del rock piacentino Sore e Bongio (già TFP) in una versione caleidoscopica del mio brano preferito dei Beatles (già pubblicato su singolo in vinile dalla HammondBeat Records).
Ai cori ci sono due vecchie conoscenze (gli amici John e Paul).

7) VISIONARY
Sempre a Bongio e Sorre ho chiesto di suonare un brano degli Husker Du come se lo facesse Graham Coxon.
Il risultato è un classico del punk che suona come i Jam nel 77. Alla voce SERGIO MILANI degli Husker Du italiani, i leggendari KINA.

8) I DON’T NEED NO DOCTOR
In una piovosa domenica pomeriggio nella sala prove/studio dei MINI VIP abbiamo, in poche take, tirato fuori una grintosissima versione di uno dei brani di rythm and blues che più amo “Don’t need no doctor” di Ray Charles.

9) LADY DAY AND JOHN COLTRANE
Con PAOLO APOLLO NEGRI in una sera all’Elfo studio abbiamo suonato una soulful version di questo gioiello di Gil Scott Heron ,che YO KALB dei SOULSNATCHERS ha reso perfetto e a cui LUCIO Electric Swan CALLEGARI dei WICKED MINDS ha aggiunto un inimitabile tocco funk con una splendida chitarra (già uscito su singolo in vinile per la Hammond Beat).

10) KEEP THE FAITH
Io e Paolo in un ritaglio di tempo abbiamo anche fatto questo brano originale.
Uno strumentale in pieno mood Link Quartet.
In due a volte si fanno grandi cose.
Al basso si è poi aggiunto Allan Crockford (Prisoners, James Taylor Quartet, Solarflares, Galileo 7 etc).
"Keep the faith" era il titolo originale dell’album.

11) HARMONY Sempre io e Paolo ma con l’aggiunta delle favolose voci di Kathy Ruestow and Abbie Sawyer delle Diplomettes.
Ci doveva pure essere una chitarra, ma poi funzionava anche così.
E’ un pezzo di Sly and the Family Stone del 1969, uno dei suoi migliori.

12) HEY SHA LO NEY
Io e i Temponauts e alla voce BOB MANTON dei PURPLE HEARTS.
La versione è vicina all’originale di Mickey Lee Lane e lontana da quella degli Action.
Bob non ha internet e ci siamo sempre sentiti via sms.....

13) LOVE IS LIKE AN ITCHIN IN MY HEART
Io, Paolo e il compianto TONY PERFECT dei LONG TALL SHORTY coverizzando in chiave soul punk le Supremes.
La sua parte me l’ha mandata su una cassetta C90 usata senza custodia in una busta di carta distrutta dal viaggio.

14) SPETTRO
E’ una versione in italiano di “Ghost” dei Jam che gli STATUTO inserirono sulla loro prima tape “Torino Beat”.
Alla voce c’è OSKAR , alla chitarra Ennio Piovesani, allora nei Tailor Made ora negli Statuto.

15) THESE BOOTS ARE MADE FOR WALKING
Un brano che con LILITH abbiamo sempre fatto dal vivo.
Questa versione ha il drumming rubato agli Stairs e il finale mette insieme un po’ di cose 60’s, prima di riprendere l’intro con cui si apre il disco

BONUS TRACKS

16) JAZZARYTHM ACID STOMP
17) UNSQUARE DANCE

Nel 1989 feci uscire un 45 della Tony Face Big Roll Band che si ispirava all’ancora semi sconosciuto James Taylor Quartet e al modern jazz in generale.
Il primo è un brano originale, il secondo una cover di Dave Brubeck.
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