Segnalo questo (breve, meno di un'ora) interessante doc (per ARTE.tv Documentari) dedicato ai MADNESS e alla scena SKA britannica a fine Settanta.
Divertente e con tanti filmati d'epoca.
https://www.youtube.com/watch?v=KivTwNDctN0
venerdì, settembre 12, 2025
giovedì, settembre 11, 2025
DEVO. Doc per Netflix di Chris Smith
Un doc esaustivo, ben fatto, sintetico (un'ora e mezzo) che riassume alla perfezione la splendida (qaunto amara) vicenda dei DEVO.
Partendo dalle origini (alle quali è dedicato gran parte del lavoro), utilizzando rari e inediti filmati degli esordi, una serie di documenti relativi alle loro ispirazioni e le celebrità che li apprezzarono (da Bowie a Jagger a Lennon a Neil Young).
L'aspetto più rilevante è la constatazione (spesso malinconica, da parte degli stessi protagonisti) di come il loro messaggio, radicale, anti sistema, la loro critica feroce al capitalismo americano, alle sciocche nostalgie per le tradizioni ("di un mondo che non è mai esistito"), non sia mai stato recepito, se non marginalmente.
I DEVO sono stati per lo più considerati una band bizzarra, curiosa, dai costumi ridicoli, che ha ottenuto il successo con il singolo "Whip It" (anch'esso, il video in particolare, male interpretato nel suo significato).
In realtà è stato uno dei progetti più interessanti, audaci e creativi a cavallo tra i 70 e gli 80.
Un doc davvero ben riuscito (solo su Netflix).
Partendo dalle origini (alle quali è dedicato gran parte del lavoro), utilizzando rari e inediti filmati degli esordi, una serie di documenti relativi alle loro ispirazioni e le celebrità che li apprezzarono (da Bowie a Jagger a Lennon a Neil Young).
L'aspetto più rilevante è la constatazione (spesso malinconica, da parte degli stessi protagonisti) di come il loro messaggio, radicale, anti sistema, la loro critica feroce al capitalismo americano, alle sciocche nostalgie per le tradizioni ("di un mondo che non è mai esistito"), non sia mai stato recepito, se non marginalmente.
I DEVO sono stati per lo più considerati una band bizzarra, curiosa, dai costumi ridicoli, che ha ottenuto il successo con il singolo "Whip It" (anch'esso, il video in particolare, male interpretato nel suo significato).
In realtà è stato uno dei progetti più interessanti, audaci e creativi a cavallo tra i 70 e gli 80.
Un doc davvero ben riuscito (solo su Netflix).
Etichette:
Film
mercoledì, settembre 10, 2025
Happy Mondays live al Nox Orae festival, Le Tour de Peilz (Ch). 30/08/25
L'amico Davide Liberali ci regala la sua recensione e le foto del recente concerto degli HAPPY MONDAYS in Svizzera.
Anche se l'hanno fatta da padroni gli Oasis non sono l'unica grande band di Manchester in tour in questa estate 2025.
Attivi da circa 40 anni, gli HAPPY MODAYS sono stati, insieme a Charlatans, Stone Roses e Primal Scream il gruppo di punta del cosiddetto Manchester Sound, a cavallo tra gli anni 80 e i primi 90, sonorità sfociate a metà degli anni 90 nel Britpop con l'arrivo di band come Oasis, Blur, Kula Shaker e altri
. Tra tutte le band citate i Mondaz sono quelli con il sound più vario che mescola pop inglese, psichedelia, funk, soul e musica dance. A questo proposito credo siano stati tra i primi a piazzare un ballerino (Bez) sul palco, entrato nella band come percussionista e dirottato a ballare per tutto il concerto.
Li seguo dalla fine degli anni 80 e, purtroppo, sembra non amino particolarmente il nostro paese, in quanto l'unica volta che sono passati da noi (Bologna nel 1996), lo hanno fatto con i Black Grape, il progetto parallelo di Shaun Ryder e Bez.
Anche questa tournée di una dozzina di date circa non tocca il nostro paese per cui mi sono sciroppato 4 ore di auto per raggiungere Le Tour de Peilz, vicino a Montreux sul lago di Ginevra.
La location del festival è un parco cittadino sulle rive del lago, a occhio vi saranno 2000 spettatori.
La scaletta pesca a piene mani dal loro miglior album, Pill's & trills and Bellyaches.
Si parte con il funk soul di Kinky Afro eseguita alla grande, Shaun canta ancora molto bene e spicca anche la voce della corista (Firouzeh Berry, moglie di Bez) che da pochi mesi ha sostituito la storica Rowetta che se ne è andata dalla band dopo un litigio.
God's Cop, Donovan, in cui spicca il suono delle tastiere ci portano alla bellissima Loose fit dall'intro soul che diventa dance.
Qui piazzano i pezzi anni 80 con Mad Ciryll e, anticipata da Alleluja, 24 hour party people, brano che da il titolo anche al film sulla scena di Manchester del periodo.
Se su disco è un pezzo che non mi è mai piaciuto, dal vivo cambia tutto e per la perfetta esecuzione lo giudico il miglior momento del concerto.
Il gran finale arriva con Step on, con tanto di lancio di palloncini di grandi dimensioni e la classica Wrote for luck.
In totale 12 pezzi per un'ora e un quarto di concerto.
L'auspicio è quello di poterli vedere una volta anche in Italia.
Anche se l'hanno fatta da padroni gli Oasis non sono l'unica grande band di Manchester in tour in questa estate 2025.
Attivi da circa 40 anni, gli HAPPY MODAYS sono stati, insieme a Charlatans, Stone Roses e Primal Scream il gruppo di punta del cosiddetto Manchester Sound, a cavallo tra gli anni 80 e i primi 90, sonorità sfociate a metà degli anni 90 nel Britpop con l'arrivo di band come Oasis, Blur, Kula Shaker e altri
. Tra tutte le band citate i Mondaz sono quelli con il sound più vario che mescola pop inglese, psichedelia, funk, soul e musica dance. A questo proposito credo siano stati tra i primi a piazzare un ballerino (Bez) sul palco, entrato nella band come percussionista e dirottato a ballare per tutto il concerto.
Li seguo dalla fine degli anni 80 e, purtroppo, sembra non amino particolarmente il nostro paese, in quanto l'unica volta che sono passati da noi (Bologna nel 1996), lo hanno fatto con i Black Grape, il progetto parallelo di Shaun Ryder e Bez.
Anche questa tournée di una dozzina di date circa non tocca il nostro paese per cui mi sono sciroppato 4 ore di auto per raggiungere Le Tour de Peilz, vicino a Montreux sul lago di Ginevra.
La location del festival è un parco cittadino sulle rive del lago, a occhio vi saranno 2000 spettatori.
La scaletta pesca a piene mani dal loro miglior album, Pill's & trills and Bellyaches.
Si parte con il funk soul di Kinky Afro eseguita alla grande, Shaun canta ancora molto bene e spicca anche la voce della corista (Firouzeh Berry, moglie di Bez) che da pochi mesi ha sostituito la storica Rowetta che se ne è andata dalla band dopo un litigio.
God's Cop, Donovan, in cui spicca il suono delle tastiere ci portano alla bellissima Loose fit dall'intro soul che diventa dance.
Qui piazzano i pezzi anni 80 con Mad Ciryll e, anticipata da Alleluja, 24 hour party people, brano che da il titolo anche al film sulla scena di Manchester del periodo.
Se su disco è un pezzo che non mi è mai piaciuto, dal vivo cambia tutto e per la perfetta esecuzione lo giudico il miglior momento del concerto.
Il gran finale arriva con Step on, con tanto di lancio di palloncini di grandi dimensioni e la classica Wrote for luck.
In totale 12 pezzi per un'ora e un quarto di concerto.
L'auspicio è quello di poterli vedere una volta anche in Italia.
Etichette:
Concerti
martedì, settembre 09, 2025
Gian Marco Griffi - Ferrovie del Messico
Pur il più accanito lettore rimane un attimo perplesso quando si appresta ad affrontare 824 pagine di libro (meglio dedicarsi a letture più agili e facili?): eppure "Ferrovie del Messico" scorre veloce, ironico, gustoso, ricchissimo di personaggi surreali e situazioni quasi psichedeliche, eventi inaspettati tanto divertenti quanto drammatici.
Una lettura ipnotica che raramente soffre di stagnazioni e che invoglia a continuare a scoprire ciò che potrà accadere.
I riferimenti sono molteplici, andando, a caso, da Cesare Pavese a Luigi Meneghello, Steinbeck e Borges.
La vicenda del protagonista principale Francesco Magetti, detto Cesco (e il suo costante mal di denti) nella Asti del 1944, occupata da nazisti, si dipana in mille direzioni e vicende che, talvolta, perdono i collegamenti ma alla fine riportano alla narrazione corretta.
Bello, consigliato, avvincente.
Gian Marco Griffi
Ferrovie del Messico
Laurana Editore
824 pagine
22 euro
Una lettura ipnotica che raramente soffre di stagnazioni e che invoglia a continuare a scoprire ciò che potrà accadere.
I riferimenti sono molteplici, andando, a caso, da Cesare Pavese a Luigi Meneghello, Steinbeck e Borges.
La vicenda del protagonista principale Francesco Magetti, detto Cesco (e il suo costante mal di denti) nella Asti del 1944, occupata da nazisti, si dipana in mille direzioni e vicende che, talvolta, perdono i collegamenti ma alla fine riportano alla narrazione corretta.
Bello, consigliato, avvincente.
Gian Marco Griffi
Ferrovie del Messico
Laurana Editore
824 pagine
22 euro
Etichette:
Libri
lunedì, settembre 08, 2025
Paul Weller
Dopo una breve sosta "forzata" si riparte alla perfezione con The Guv'nor, PAUL WELLER, con l'articolo che ho scritto per "Il Manifesto" nella sezione "Alias", ripercorrendo sinteticamente la sua carriera dagli esordi al nuovo "Find El Dorado".
Paul Weller è da tempo assurto all'invidiabile condizione di potersi permettere di fare quello che vuole, senza preoccuparsi più di tanto di pianificazioni o strategie discografiche.
Ha a disposizione un suo studio personale, il Big Barn Studios, che sfrutta a piacimento quando ha l'ispirazione.
La sua discografia solista negli ultimi anni si è arricchita di diversi album, singoli, ep, collaborazioni, non sempre riuscitissime ma costantemente contrassegnate da un livello qualitativo sempre dignitoso e tendente all'alto, a cui fa puntualmente seguito la scalata delle classifiche britanniche.
Il nuovo Find El Dorado, pubblicato alla fine di luglio è arrivato immediatamente al secondo posto.
Nonostante sia un album di cover.
"Sono canzoni che porto con me da anni. Hanno assunto nuove forme nel tempo. E ora mi è sembrato il momento di condividerle."
Come sua abitudine, le scelte non sono mai banali e le quindici canzoni scavano in ambiti profondi e oscuri, soprattutto inaspettati, come quando ripesca Bee Gees, Richie Havens o i Flying Burrito Brothers dell'ex Byrds Chris Hillman.
Più ovvio l'omaggio a uno dei suoi idoli, Ray Davies dei Kinks ma non un prevedibile brano della band, ma una sigla televisiva firmata dal chitarrista ma eseguita da un altro gruppo.
Azzeccatissima la riscoperta del soul rock di Lawdy Rolla dei dimenticati francesi The Guerrillas e il gran finale con Clive's Song, in duetto nientemeno con Robert Plant.
Come già sottolineato nessuno griderà al capolavoro ma la scelta è talmente oculata e poco comune che alla fine potrebbe sembrare un album di inediti, suonato con classe, eleganza e raffinatezza, perfetto ritratto del personaggio.
Fin dagli inizi, in realtà, ha sempre fatto quello che gli pareva, incurante del contesto in cui aveva incominciato a muoversi ovvero la scena punk rock londinese, con i suoi da poco nati The Jam, nel 1977.
Ci finirono dentro, come tantissimi altri ma distinguendosi volutamente e immediatamente.
Sound elettrico, amfetaminico, veloce e minimale ma con chiari riferimenti agli anni Sessanta e alla cultura mod. nessun vestito trasandato ma rigorosi completi in giacca e cravatta.
E quando la fanzine Sniffin' Glue, vera Bibbia del punk, parlò male di loro, giudicandoli nostalgici, Weller ne bruciò una copia sul palco del “Marquee”.
Anche Sid Vicious, icona punk per eccellenza, non se la cavò meglio quando molestò Paul in un locale.
Si prese un pugno e finì in ospedale "Lui l'ha iniziata e io l'ho finita".
La band si staccò velocemente dalla scena, girò il mondo in concerto e dopo i primi due grezzi album del 1977, In The City e This Is the Modern World, infilò una serie di gioielli compositivamente sempre più raffinati, come All Mod Cons (1978), Setting Sons (1979) e gli stupendi Sound Affects (1980) e The Gift (1982), portando una serie di singoli, da Going Underground a Town Called Malice in testa alle classifiche.
La musica non era più solo potente e arrabbiata ma guardava anche al folk, a Kinks, Beatles, Who e Small Faces, al soul e al funk.
In ottemperanza alla sua classica imprevedibilità caratteriale, Weller, all'apice del successo scioglie inaspettatamente la band, cogliendo tutti di sorpresa, i suoi compagni di avventura per primi.
Quello che appare un inspiegabile suicidio artistico, apre le porte alla nuova avventura degli Style Council, a fianco del tastierista Mick Talbot (già con Merton Parkas, Dexy's e Bureau).
Il nuovo progetto è un collettivo che ruota intorno al nucleo dei due musicisti.
Weller vuole creare un nuovo sound, un soul moderno, che attinga dalle più svariate influenze.
E così sarà.
Nel breve spazio di un lustro, dal 1983 al 1988, la band metterà insieme soul, jazz, funk, folk, hip hop, elettronica, perfino la musica classica orchestrale nel sottovalutato, conclusivo e scarsamente compreso, Confessions of a Pop Group del 1988, canto del cigno discografico dopo gli ottimi Café Bleu e Our Favourite Shop e l'incerto Cost of Loving.
Proveranno a portare la neonata house di Detroit nella musica inglese con Modernism: A New Decade ma l'etichetta lo rifiuterà, lasciando la band alla deriva e a spegnersi ingloriosamente (paradossalmente l'antitesi della voluta e brusca fine dei Jam).
Un'esperienza sperimentale, che ha rischiato tanto, non ponendosi mai limiti nell'osare commistioni e miscele sonore apparentemente improbabili.
Ebbero tanto successo e hanno lasciato un segno che è stato rivalutato nel giusto modo solo successivamente.
Paul Weller, alla fine degli anni Ottanta, si ritrova confuso e indeciso sul da farsi, soprattutto perché non ha un contratto discografico né una band e sembra che a nessuno interessi particolarmente una sua nuova avventura artistica.
Rimane in pausa per un paio di anni, riparte con il Paul Weller Movement in cui torna alle radici più rock, con il singolo Into Tomorrow che si affaccia timidamente nelle charts inglesi.
Ci vorrà la succursale giapponese della Go Disc a dargli una nuova opportunità.
Il primo omonimo Paul Weller del 1992 guarda ai consueti riferimenti ma introduce uno sguardo, poco praticato ai tempi, a quel sound che mischiava soul, folk, rock e blues, caro a nomi come Traffic o Joe Cocker, a cavallo tra i Sessanta e Settanta.
E' la formula giusta.
Il successivo Wild Wood e soprattutto il suo capolavoro assoluto, Stanley Road, del 1995, lo riportano in vetta alle classifiche.
E' la sua “terza vita artistica” (una particolarità pertinenza di pochi musicisti), un'ulteriore incarnazione all'insegna di una creatività che si è mossa nel tempo, ha assorbito cose nuove e vecchie, le ha fatte sue, personalizzate, rinnovate e rese una cosa pressoché unica.
Su tutto le sue capacità compositive, di rara efficacia e spessore, ancora brillanti e sorprendenti.
Forte del successo di nuovo ottenuto, l'avventura solista si dipana in varie direzioni.
Anche perché esplode nel frattempo il Britpop di cui è il più diretto padre putativo e a cui i vari Oasis, Blur, Supergrass non possono che rendere omaggio.
I primi anni 2000 segnano una battuta d'arresto ispiratrice, con album poco interessanti e ripetitivi (nonostante non manchino mai brani di grande spessore)
. Complice anche un periodo di abusi alcolici e di sostanze, che non portano sicuramente benefici.
Si riprenderà con una superba triade As Is Now (2005), lo sperimentale 22 Dreams, un doppio album in cui esplora vari generi (sorta di personale “Album Bianco”) e Wake Up the Nation (2010) dove ritrova l'amicizia e l'apporto dell'ex bassista dei Jam, Bruce Foxton.
Vira verso umori elettronici nell'incerto Sonik Kicks, preludio a Saturn Patterns del 2015, album decisivo, in cui sintetizza tutto ciò che ha suonato in ormai 40 anni in un Paul Weller Sound definitivo, immediatamente riconoscibile e totalmente personale, con l'utilizzo, con discrezione e oculatezza, dell'elettronica che si mischia a soul, rock, blues, Beatles, funk, l'amore per le ballate struggenti.
I successivi lavori, con l'eccezione dell'acustico folk di True Meanings, sono figli di questa nuova impostazione.
I concerti sono sempre grintosi, ricchi di sorprese, con qualche centellinato omaggio al passato remoto e la voglia di spaziare nell'ormai immensa discografia (18 album solisti, 5 con gli Style Council, 6 con i Jam più un numero spropositato di singoli, ep e altro).
Artista completo, vocalmente, a 67 anni, ancora possente, ottimo chitarrista, polistrumentista, tuttora compositore di altissimo livello.
Personaggio sempre di nicchia in Italia.
Per chi non lo conoscesse bene è il momento di farlo. Per i fan di riascoltarlo, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Paul Weller è da tempo assurto all'invidiabile condizione di potersi permettere di fare quello che vuole, senza preoccuparsi più di tanto di pianificazioni o strategie discografiche.
Ha a disposizione un suo studio personale, il Big Barn Studios, che sfrutta a piacimento quando ha l'ispirazione.
La sua discografia solista negli ultimi anni si è arricchita di diversi album, singoli, ep, collaborazioni, non sempre riuscitissime ma costantemente contrassegnate da un livello qualitativo sempre dignitoso e tendente all'alto, a cui fa puntualmente seguito la scalata delle classifiche britanniche.
Il nuovo Find El Dorado, pubblicato alla fine di luglio è arrivato immediatamente al secondo posto.
Nonostante sia un album di cover.
"Sono canzoni che porto con me da anni. Hanno assunto nuove forme nel tempo. E ora mi è sembrato il momento di condividerle."
Come sua abitudine, le scelte non sono mai banali e le quindici canzoni scavano in ambiti profondi e oscuri, soprattutto inaspettati, come quando ripesca Bee Gees, Richie Havens o i Flying Burrito Brothers dell'ex Byrds Chris Hillman.
Più ovvio l'omaggio a uno dei suoi idoli, Ray Davies dei Kinks ma non un prevedibile brano della band, ma una sigla televisiva firmata dal chitarrista ma eseguita da un altro gruppo.
Azzeccatissima la riscoperta del soul rock di Lawdy Rolla dei dimenticati francesi The Guerrillas e il gran finale con Clive's Song, in duetto nientemeno con Robert Plant.
Come già sottolineato nessuno griderà al capolavoro ma la scelta è talmente oculata e poco comune che alla fine potrebbe sembrare un album di inediti, suonato con classe, eleganza e raffinatezza, perfetto ritratto del personaggio.
Fin dagli inizi, in realtà, ha sempre fatto quello che gli pareva, incurante del contesto in cui aveva incominciato a muoversi ovvero la scena punk rock londinese, con i suoi da poco nati The Jam, nel 1977.
Ci finirono dentro, come tantissimi altri ma distinguendosi volutamente e immediatamente.
Sound elettrico, amfetaminico, veloce e minimale ma con chiari riferimenti agli anni Sessanta e alla cultura mod. nessun vestito trasandato ma rigorosi completi in giacca e cravatta.
E quando la fanzine Sniffin' Glue, vera Bibbia del punk, parlò male di loro, giudicandoli nostalgici, Weller ne bruciò una copia sul palco del “Marquee”.
Anche Sid Vicious, icona punk per eccellenza, non se la cavò meglio quando molestò Paul in un locale.
Si prese un pugno e finì in ospedale "Lui l'ha iniziata e io l'ho finita".
La band si staccò velocemente dalla scena, girò il mondo in concerto e dopo i primi due grezzi album del 1977, In The City e This Is the Modern World, infilò una serie di gioielli compositivamente sempre più raffinati, come All Mod Cons (1978), Setting Sons (1979) e gli stupendi Sound Affects (1980) e The Gift (1982), portando una serie di singoli, da Going Underground a Town Called Malice in testa alle classifiche.
La musica non era più solo potente e arrabbiata ma guardava anche al folk, a Kinks, Beatles, Who e Small Faces, al soul e al funk.
In ottemperanza alla sua classica imprevedibilità caratteriale, Weller, all'apice del successo scioglie inaspettatamente la band, cogliendo tutti di sorpresa, i suoi compagni di avventura per primi.
Quello che appare un inspiegabile suicidio artistico, apre le porte alla nuova avventura degli Style Council, a fianco del tastierista Mick Talbot (già con Merton Parkas, Dexy's e Bureau).
Il nuovo progetto è un collettivo che ruota intorno al nucleo dei due musicisti.
Weller vuole creare un nuovo sound, un soul moderno, che attinga dalle più svariate influenze.
E così sarà.
Nel breve spazio di un lustro, dal 1983 al 1988, la band metterà insieme soul, jazz, funk, folk, hip hop, elettronica, perfino la musica classica orchestrale nel sottovalutato, conclusivo e scarsamente compreso, Confessions of a Pop Group del 1988, canto del cigno discografico dopo gli ottimi Café Bleu e Our Favourite Shop e l'incerto Cost of Loving.
Proveranno a portare la neonata house di Detroit nella musica inglese con Modernism: A New Decade ma l'etichetta lo rifiuterà, lasciando la band alla deriva e a spegnersi ingloriosamente (paradossalmente l'antitesi della voluta e brusca fine dei Jam).
Un'esperienza sperimentale, che ha rischiato tanto, non ponendosi mai limiti nell'osare commistioni e miscele sonore apparentemente improbabili.
Ebbero tanto successo e hanno lasciato un segno che è stato rivalutato nel giusto modo solo successivamente.
Paul Weller, alla fine degli anni Ottanta, si ritrova confuso e indeciso sul da farsi, soprattutto perché non ha un contratto discografico né una band e sembra che a nessuno interessi particolarmente una sua nuova avventura artistica.
Rimane in pausa per un paio di anni, riparte con il Paul Weller Movement in cui torna alle radici più rock, con il singolo Into Tomorrow che si affaccia timidamente nelle charts inglesi.
Ci vorrà la succursale giapponese della Go Disc a dargli una nuova opportunità.
Il primo omonimo Paul Weller del 1992 guarda ai consueti riferimenti ma introduce uno sguardo, poco praticato ai tempi, a quel sound che mischiava soul, folk, rock e blues, caro a nomi come Traffic o Joe Cocker, a cavallo tra i Sessanta e Settanta.
E' la formula giusta.
Il successivo Wild Wood e soprattutto il suo capolavoro assoluto, Stanley Road, del 1995, lo riportano in vetta alle classifiche.
E' la sua “terza vita artistica” (una particolarità pertinenza di pochi musicisti), un'ulteriore incarnazione all'insegna di una creatività che si è mossa nel tempo, ha assorbito cose nuove e vecchie, le ha fatte sue, personalizzate, rinnovate e rese una cosa pressoché unica.
Su tutto le sue capacità compositive, di rara efficacia e spessore, ancora brillanti e sorprendenti.
Forte del successo di nuovo ottenuto, l'avventura solista si dipana in varie direzioni.
Anche perché esplode nel frattempo il Britpop di cui è il più diretto padre putativo e a cui i vari Oasis, Blur, Supergrass non possono che rendere omaggio.
I primi anni 2000 segnano una battuta d'arresto ispiratrice, con album poco interessanti e ripetitivi (nonostante non manchino mai brani di grande spessore)
. Complice anche un periodo di abusi alcolici e di sostanze, che non portano sicuramente benefici.
Si riprenderà con una superba triade As Is Now (2005), lo sperimentale 22 Dreams, un doppio album in cui esplora vari generi (sorta di personale “Album Bianco”) e Wake Up the Nation (2010) dove ritrova l'amicizia e l'apporto dell'ex bassista dei Jam, Bruce Foxton.
Vira verso umori elettronici nell'incerto Sonik Kicks, preludio a Saturn Patterns del 2015, album decisivo, in cui sintetizza tutto ciò che ha suonato in ormai 40 anni in un Paul Weller Sound definitivo, immediatamente riconoscibile e totalmente personale, con l'utilizzo, con discrezione e oculatezza, dell'elettronica che si mischia a soul, rock, blues, Beatles, funk, l'amore per le ballate struggenti.
I successivi lavori, con l'eccezione dell'acustico folk di True Meanings, sono figli di questa nuova impostazione.
I concerti sono sempre grintosi, ricchi di sorprese, con qualche centellinato omaggio al passato remoto e la voglia di spaziare nell'ormai immensa discografia (18 album solisti, 5 con gli Style Council, 6 con i Jam più un numero spropositato di singoli, ep e altro).
Artista completo, vocalmente, a 67 anni, ancora possente, ottimo chitarrista, polistrumentista, tuttora compositore di altissimo livello.
Personaggio sempre di nicchia in Italia.
Per chi non lo conoscesse bene è il momento di farlo. Per i fan di riascoltarlo, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Etichette:
Heroes,
Mod Heroes,
Paul Weller,
Wellerism
lunedì, settembre 01, 2025
Le trasmissioni riprenderanno il prima possibile
Breve pausa forzata.
Si riprende il prima possibile.
PS: non sono reperibile e conseguentemente non risponderò, né tramite mail, Messenger o telefonicamente.
Ci si risente l'8 settembre.
Ricordando sempre che:
Life is very short and there's no time
For fussing and fighting, my friend
Si riprende il prima possibile.
PS: non sono reperibile e conseguentemente non risponderò, né tramite mail, Messenger o telefonicamente.
Ci si risente l'8 settembre.
Ricordando sempre che:
Life is very short and there's no time
For fussing and fighting, my friend
Etichette:
I me mine
Musica e intelligenza artificiale
Nella mia rubrica settimanale "La musica che gira intorno" nelle pagine web di www.piacenzasera.it, parlo oggi, partendo dall'esempio dei Velvet Sundown (band generata da un algortimo) delle modalità d'uso dell'Intelligenza Arttificiale nella musica.
Qui:
https://www.piacenzasera.it/2025/09/suona-un-po-cosi-la-musica-generata-con-lintelligenza-artificiale-ma-che-futuro-ha/607821/
Qui:
https://www.piacenzasera.it/2025/09/suona-un-po-cosi-la-musica-generata-con-lintelligenza-artificiale-ma-che-futuro-ha/607821/
Etichette:
Di cosa parliamo quando parliamo di musica
venerdì, agosto 29, 2025
Agosto 2025. Il meglio
THE WHO - Live at Oval 1971
Poderoso live degli WHO, registrato il Il 18 settembre 1971 davanti a 35.000 spettatori al "Goodbye Summer: A Rock Concert in aid of Famine Relief for the People of Bangladesh" nello stadio di cricket The Oval di Kennington, South London.
In "Live a the Oval 1971" ci sono quindici brani di cui cinque dall'appena uscito "Who's Next", due da "Tommy" e materiale sparso.
La band è all'apice della forma, Keith Moon funambolico e precisissimo, Roger Daltrey con una voce potentissima, John Entwistle che suona come un'orchestra e Pete Townshend che dimostra la sua versatilità tanto ritmica quanto solista.
Freschezza, hard, blues, soul, un treno in corsa, con usuale distruzione degli strumenti finale.
Registrazione più che buona (rispetto ai bootleg in circolazione), materiale remixato da nastri analogici multitraccia originali a otto piste.
THE NEW EVES - The New Eve is Rising
Le recensioni di questo esordio del quartetto tutto femminile inglese si sbizzarriscono in definizioni e paragoni. Hanno tutti ragione: Patti Smith (del primo periodo, soprattutto), Raincoats, Fall, Pixies. Io aggiungerei Slits, Velvet Underground, lo sciamanesimo dei Goat, Poison Girls, folk psichedelico inglese dei 60/70. Ma sono sicuro che ogni ascoltatore potrà trovare altre cose. Sorprendente, sanguigno, travolgente. Tra le uscite più intriganti dell'anno in corso.
NAT BIRCHALL - Liberated Sounds
Il saxofonista inglese si cimenta, in chiave strumentale, con ska e rocksteady, con un tocco jazz, alla maniera dei New York Ska Jazz Ensemble. Un omaggio esplicito a Don Drummond, Tommy McCook, Roland Alphonso, Lester Sterling, Baba Brooks, Dizzy Moore, Lloyd Brevett, Ernest Ranglin, Jackie Mittoo, Lloyd Knibb, Drumbago.
Molto piacevole e coinvolgente.
THE CAPELLAS - Untamed
La band inglese (con membri di Missing Souls, The Jack Cades, Thee Vicars, The Baron Four, Embrooks, Barracudas, Chrome Reverse) all'esordio, dopo un ottimo ep, con un album che si tuffa nei profondi Sixties, tra rhythm and blues, garage, freakbeat. La voce di Elsa Witthaker è un delizioso e potente mix di Julie Driscolle Mariska Veres degli Shocking Blue, la band suona con energia e in modo ruvido. Ottimo lavoro.
JONATHAN RICHMAN - Only Frozen Sky Anyway
Uno dei personaggi più originali della musica "rock", dai Modern Lovers ad oggi, sempre a percorrere una sua strada, incurante del successo. Nel nuovo album ci propone ad esempio una stralunata cover di "Night Fever" dei Bee Gees, come se fosse stata affidata a un Lou Reed assonnato, brani spagnoleggianti e altre dolcemente folli tra testi che parlano di morte, cambiamenti, perdite di persone care. Non gli cambierà la carriera ma alleieterà ancora una volta le nostre orecchie.
THE HIVES - The Hives Forever Forever The Hives
La band svedese è da tempo una certezza. Nel senso che il loro sound non cambia granchè, con quel gradevole mix di rock 'n' roll, pop punk, power pop. Avercene! Anche se alla lunga distanza non tutto è così riuscito, fa sempre piacere dare un ascolto.
BLACK KEYS - No Rain, No Flowers
Non sarebbe (non è) un brutto album.
Pop, funk, un gusto soul estivo.
Il "problema" è che è stato fatto dai BLACK KEYS.
Massimo rispetto per le scelte e le evoluzioni artistiche ma: perché?
Non mi capacito ma è un limite mio.
ALICE COOPER - The revenge of Alice Cooper
Prodotto da Bob Ezrin, suonato con membri originali del 1973 rientrati nella band. Niente di epico ma un buon album rock hard blues con tanto di buona cover di "Ain't done wrong" degli Yardbirds. Si lascia ascoltare con piacere.
LUKE HAINES and PETER BUCK - Going Down To The River … To Blow My Mind
L'ex The Auteurs Luke Haines unisce per la terza le forze con Peter Buck, già anima dei REM in un album composto e registrato in pochi giorni. Sound rockeggiante, aspro, con gli arpeggi chitarristici che riportano spesso inevitabilmente alla band di Athens. Buon lavoro pur se, sinceramente, trascurabile.
TENDHA - Soap doesn't exist because it can't be told
Ispirati, testualmente, da sonorità il cui riferimento sono le colonne sonore dei videogiochi 8 bit, i Tendha si addentrano in un contesto semi strumentale, in cui le voci sono esse stesse strumento e solo raramente si affidano a un testo cantato. I brani si addentrano tra post rock, lounge, Stereolab, math rock, jazz e tanto altro. Un lavoro molto personale, strano, a cui trovare una collocazione è pressoché impossibile (e ciò ne avvalora lo spessore artistico).
AA.VV. - Stax Revue – Live In 65
Registrato live nel 1965 al "5/4 Club" di Los Angeles con nomi super come BookerT and the Mg's, The Mar Keys, un travolgente Wilson Pickett con 9 minuti di "In the Midnight Hour" e un funambolico Rufus Thomas on 20 minuti di "The Dog". Una testimonianza vitale e infuocata di quell'incredibile periodo.
ASCOLTATO ANCHE:
DOOBIE BROTHERS (rock da FM anni 70 senza nessuna particella di quelle atmosfere blue eyed soul), YUFU (buon album di jazz soul funk strumentale).
LIBRI
Robyn Hitchcock - 1967. Come ci sono arrivato e perché non me ne sono più andato
L’artista inglese è sempre stato un discepolo fedele della breve epica e attitudine sonora di Syd Barrett che ha permeato la sua prima avventura con i Soft Boys e la successiva incarnazione solista.
Non stupisce quindi che questa sua autobiografia “1967” (edita da Hellnation Libri, tradotta da Carlo Bordone) ruoti pressoché esclusivamente intorno al fatidico 1967 e ai suoi quattordici anni, quando scoprì e si innamorò di Bob Dylan, la Incredible String Band e, inevitabilmente dei Beatles, in una sorta di sgangherato quanto fascimoso romanzo di formazione psichedelico.
I flash pre adolescenziali sono abbaglianti fotografie che abbiamo un po’ tutti vissuto:
“Non vedo l’ora che la mia voce si abbassi, che mi cresca una peluria rispettabile e di abbandonare finalmente lo scricchiolante reame della fanciullezza.”
Arrivano anche david Bowie e Jimi Hendrix:
“Sono un adolescente in fiamme, Cristo santo questa è musica che ti fa levitare”. I vestiti diventano più audaci, i capelli si allungano. “Sto imparando che il barbiere è il nemico naturale della libertà”.
Anche se il periodo di transizione è ancora lungo e complesso “Una cultura in cui sono tutti maschi e le donne sono un’altra specie, esistono solo dietro a un vetro, come una Monna Lisa. Ci sono le persone e poi ci sono le femmine”.
Improvvisamente arrivano un giradischi e una chitarra e nulla sarà mai più come prima “Ho la mia chitarra e mio cugino, sia benedetto, mi presta uno di quegli oggetti che ti cambiano la vita: un giradischi a pile.”
Cambia anche il tanto agognato aspetto fisico “Sono alto un metro e ottanta e con un caschetto alla Beatles” ma anche una constatazione postuma illuminante, che in molti possono condividere: “Sono un adolescente e lo rimarrò per il resto della vita”.
Incomincia a suonare sopra ai tanto amati dischi dei nuovi idoli:
“Il mio istinto è suonare la chitarra molto prima di avere imparato a suonarla”.
Alla fine Robyn vivrà con la sua musica, girerà il mondo, inciderà eccellenti dischi, riladcerà interviste a quelle riviste che spulciava freneticamente da adolescente, seguendo quello “spirito del 1967” da cui è partito.
“A parte tutto sono grato che l’orologio fermo del 1967 rintocchi ancora dentro di me. Mi ha dato un mestiere per la vita”.
Alberto Gedda - Musica da fotocamera. Storie e immagini della Musica Live
Giornalista, fotografo, scrittore, direttore del settimanale “Corriere di Saluzzo”, Alberto Gedda ci porta in un interessante e intrigante viaggio nella canzone d'autore italiana (ma non solo) attraverso sue foto di concerti o in posa, con la preziosa aggiunta di aneddoti relativi ai concerti, interviste, momenti in cui le ha realizzate, dagli anni Settanta ad oggi.
Ci sono Fabrizio De André, Francesco Guccini, Vasco Rossi, Zucchero, Ivano Fossati, Augusto Daolio, Luciano Ligabue, i capricci di Patty Pravo, Gianna Nannini, la gentilezza e disponibilità di Joan Baez e Joni Mitchell, la forza di Chuck Berry, l'arroganza e alterigia dei "simpaticissimi" Elio e le Storie Tese, la spontaneità di Massimo Ranieri. Un vero piacere leggere questo libro e osservare la spontaneità dei 71 artisti ritratti.
CONCERTI
Paul Roland and his Rockin Teenage Combo live a Nibbiano (Piacenza) 12/08/2025
Paul Roland è cantautore, poeta, scrittore, saggista, consulente per la BBC sui fenomeni paranormali.
Ha alle spalle una discografia sterminata ed è in procinto di pubblicare un nuovo album.
Sulle colline piacentine, nella piazza di Nibbiano, ha dato sfoggio di grande e innata classe, accompagnato dal suo Rockin Teenage Combo (Annie Barbazza, Alex Canella, Christian Castelletti, questi ultimi due membri dei Tal Neunder che hanno aperto la serata, in sostituzione dei previsti Not Moving, con un personalissimo rock dalle forti tinte prog e un'anima pop).
Paul Roland si addentra in meandri rock, talvolta aspri, altre volte dai colori più fruibili, spazia in mille sfumature, dal pop, al prog, a influenze anni 70 e gotiche.
Il pubblico è numeroso e apprezza, il culto di un personaggio rimasto volutamente sempre in una dimensione molto personale, quasi "dietro le quinte", cresce ancora di più.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
Poderoso live degli WHO, registrato il Il 18 settembre 1971 davanti a 35.000 spettatori al "Goodbye Summer: A Rock Concert in aid of Famine Relief for the People of Bangladesh" nello stadio di cricket The Oval di Kennington, South London.
In "Live a the Oval 1971" ci sono quindici brani di cui cinque dall'appena uscito "Who's Next", due da "Tommy" e materiale sparso.
La band è all'apice della forma, Keith Moon funambolico e precisissimo, Roger Daltrey con una voce potentissima, John Entwistle che suona come un'orchestra e Pete Townshend che dimostra la sua versatilità tanto ritmica quanto solista.
Freschezza, hard, blues, soul, un treno in corsa, con usuale distruzione degli strumenti finale.
Registrazione più che buona (rispetto ai bootleg in circolazione), materiale remixato da nastri analogici multitraccia originali a otto piste.
THE NEW EVES - The New Eve is Rising
Le recensioni di questo esordio del quartetto tutto femminile inglese si sbizzarriscono in definizioni e paragoni. Hanno tutti ragione: Patti Smith (del primo periodo, soprattutto), Raincoats, Fall, Pixies. Io aggiungerei Slits, Velvet Underground, lo sciamanesimo dei Goat, Poison Girls, folk psichedelico inglese dei 60/70. Ma sono sicuro che ogni ascoltatore potrà trovare altre cose. Sorprendente, sanguigno, travolgente. Tra le uscite più intriganti dell'anno in corso.
NAT BIRCHALL - Liberated Sounds
Il saxofonista inglese si cimenta, in chiave strumentale, con ska e rocksteady, con un tocco jazz, alla maniera dei New York Ska Jazz Ensemble. Un omaggio esplicito a Don Drummond, Tommy McCook, Roland Alphonso, Lester Sterling, Baba Brooks, Dizzy Moore, Lloyd Brevett, Ernest Ranglin, Jackie Mittoo, Lloyd Knibb, Drumbago.
Molto piacevole e coinvolgente.
THE CAPELLAS - Untamed
La band inglese (con membri di Missing Souls, The Jack Cades, Thee Vicars, The Baron Four, Embrooks, Barracudas, Chrome Reverse) all'esordio, dopo un ottimo ep, con un album che si tuffa nei profondi Sixties, tra rhythm and blues, garage, freakbeat. La voce di Elsa Witthaker è un delizioso e potente mix di Julie Driscolle Mariska Veres degli Shocking Blue, la band suona con energia e in modo ruvido. Ottimo lavoro.
JONATHAN RICHMAN - Only Frozen Sky Anyway
Uno dei personaggi più originali della musica "rock", dai Modern Lovers ad oggi, sempre a percorrere una sua strada, incurante del successo. Nel nuovo album ci propone ad esempio una stralunata cover di "Night Fever" dei Bee Gees, come se fosse stata affidata a un Lou Reed assonnato, brani spagnoleggianti e altre dolcemente folli tra testi che parlano di morte, cambiamenti, perdite di persone care. Non gli cambierà la carriera ma alleieterà ancora una volta le nostre orecchie.
THE HIVES - The Hives Forever Forever The Hives
La band svedese è da tempo una certezza. Nel senso che il loro sound non cambia granchè, con quel gradevole mix di rock 'n' roll, pop punk, power pop. Avercene! Anche se alla lunga distanza non tutto è così riuscito, fa sempre piacere dare un ascolto.
BLACK KEYS - No Rain, No Flowers
Non sarebbe (non è) un brutto album.
Pop, funk, un gusto soul estivo.
Il "problema" è che è stato fatto dai BLACK KEYS.
Massimo rispetto per le scelte e le evoluzioni artistiche ma: perché?
Non mi capacito ma è un limite mio.
ALICE COOPER - The revenge of Alice Cooper
Prodotto da Bob Ezrin, suonato con membri originali del 1973 rientrati nella band. Niente di epico ma un buon album rock hard blues con tanto di buona cover di "Ain't done wrong" degli Yardbirds. Si lascia ascoltare con piacere.
LUKE HAINES and PETER BUCK - Going Down To The River … To Blow My Mind
L'ex The Auteurs Luke Haines unisce per la terza le forze con Peter Buck, già anima dei REM in un album composto e registrato in pochi giorni. Sound rockeggiante, aspro, con gli arpeggi chitarristici che riportano spesso inevitabilmente alla band di Athens. Buon lavoro pur se, sinceramente, trascurabile.
TENDHA - Soap doesn't exist because it can't be told
Ispirati, testualmente, da sonorità il cui riferimento sono le colonne sonore dei videogiochi 8 bit, i Tendha si addentrano in un contesto semi strumentale, in cui le voci sono esse stesse strumento e solo raramente si affidano a un testo cantato. I brani si addentrano tra post rock, lounge, Stereolab, math rock, jazz e tanto altro. Un lavoro molto personale, strano, a cui trovare una collocazione è pressoché impossibile (e ciò ne avvalora lo spessore artistico).
AA.VV. - Stax Revue – Live In 65
Registrato live nel 1965 al "5/4 Club" di Los Angeles con nomi super come BookerT and the Mg's, The Mar Keys, un travolgente Wilson Pickett con 9 minuti di "In the Midnight Hour" e un funambolico Rufus Thomas on 20 minuti di "The Dog". Una testimonianza vitale e infuocata di quell'incredibile periodo.
ASCOLTATO ANCHE:
DOOBIE BROTHERS (rock da FM anni 70 senza nessuna particella di quelle atmosfere blue eyed soul), YUFU (buon album di jazz soul funk strumentale).
LIBRI
Robyn Hitchcock - 1967. Come ci sono arrivato e perché non me ne sono più andato
L’artista inglese è sempre stato un discepolo fedele della breve epica e attitudine sonora di Syd Barrett che ha permeato la sua prima avventura con i Soft Boys e la successiva incarnazione solista.
Non stupisce quindi che questa sua autobiografia “1967” (edita da Hellnation Libri, tradotta da Carlo Bordone) ruoti pressoché esclusivamente intorno al fatidico 1967 e ai suoi quattordici anni, quando scoprì e si innamorò di Bob Dylan, la Incredible String Band e, inevitabilmente dei Beatles, in una sorta di sgangherato quanto fascimoso romanzo di formazione psichedelico.
I flash pre adolescenziali sono abbaglianti fotografie che abbiamo un po’ tutti vissuto:
“Non vedo l’ora che la mia voce si abbassi, che mi cresca una peluria rispettabile e di abbandonare finalmente lo scricchiolante reame della fanciullezza.”
Arrivano anche david Bowie e Jimi Hendrix:
“Sono un adolescente in fiamme, Cristo santo questa è musica che ti fa levitare”. I vestiti diventano più audaci, i capelli si allungano. “Sto imparando che il barbiere è il nemico naturale della libertà”.
Anche se il periodo di transizione è ancora lungo e complesso “Una cultura in cui sono tutti maschi e le donne sono un’altra specie, esistono solo dietro a un vetro, come una Monna Lisa. Ci sono le persone e poi ci sono le femmine”.
Improvvisamente arrivano un giradischi e una chitarra e nulla sarà mai più come prima “Ho la mia chitarra e mio cugino, sia benedetto, mi presta uno di quegli oggetti che ti cambiano la vita: un giradischi a pile.”
Cambia anche il tanto agognato aspetto fisico “Sono alto un metro e ottanta e con un caschetto alla Beatles” ma anche una constatazione postuma illuminante, che in molti possono condividere: “Sono un adolescente e lo rimarrò per il resto della vita”.
Incomincia a suonare sopra ai tanto amati dischi dei nuovi idoli:
“Il mio istinto è suonare la chitarra molto prima di avere imparato a suonarla”.
Alla fine Robyn vivrà con la sua musica, girerà il mondo, inciderà eccellenti dischi, riladcerà interviste a quelle riviste che spulciava freneticamente da adolescente, seguendo quello “spirito del 1967” da cui è partito.
“A parte tutto sono grato che l’orologio fermo del 1967 rintocchi ancora dentro di me. Mi ha dato un mestiere per la vita”.
Alberto Gedda - Musica da fotocamera. Storie e immagini della Musica Live
Giornalista, fotografo, scrittore, direttore del settimanale “Corriere di Saluzzo”, Alberto Gedda ci porta in un interessante e intrigante viaggio nella canzone d'autore italiana (ma non solo) attraverso sue foto di concerti o in posa, con la preziosa aggiunta di aneddoti relativi ai concerti, interviste, momenti in cui le ha realizzate, dagli anni Settanta ad oggi.
Ci sono Fabrizio De André, Francesco Guccini, Vasco Rossi, Zucchero, Ivano Fossati, Augusto Daolio, Luciano Ligabue, i capricci di Patty Pravo, Gianna Nannini, la gentilezza e disponibilità di Joan Baez e Joni Mitchell, la forza di Chuck Berry, l'arroganza e alterigia dei "simpaticissimi" Elio e le Storie Tese, la spontaneità di Massimo Ranieri. Un vero piacere leggere questo libro e osservare la spontaneità dei 71 artisti ritratti.
CONCERTI
Paul Roland and his Rockin Teenage Combo live a Nibbiano (Piacenza) 12/08/2025
Paul Roland è cantautore, poeta, scrittore, saggista, consulente per la BBC sui fenomeni paranormali.
Ha alle spalle una discografia sterminata ed è in procinto di pubblicare un nuovo album.
Sulle colline piacentine, nella piazza di Nibbiano, ha dato sfoggio di grande e innata classe, accompagnato dal suo Rockin Teenage Combo (Annie Barbazza, Alex Canella, Christian Castelletti, questi ultimi due membri dei Tal Neunder che hanno aperto la serata, in sostituzione dei previsti Not Moving, con un personalissimo rock dalle forti tinte prog e un'anima pop).
Paul Roland si addentra in meandri rock, talvolta aspri, altre volte dai colori più fruibili, spazia in mille sfumature, dal pop, al prog, a influenze anni 70 e gotiche.
Il pubblico è numeroso e apprezza, il culto di un personaggio rimasto volutamente sempre in una dimensione molto personale, quasi "dietro le quinte", cresce ancora di più.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
Etichette:
Il meglio del mese
giovedì, agosto 28, 2025
Intervista a Eddie Piller
Riprendo l'intervista che ho fatto a EDDIE PILLER, pubblicata lo scorso sabato nelle pagine dell'inserto "Alias" de "Il manifesto".
La recente ristampa della compilation con il meglio della tua Countdown Records e diverse altre raccolte legate al "suono mod" testimoniano che c'è sempre interesse per questo settore. Cosa pensi della cultura mod nel 2025?
Si è rinnovata o rimane ancorata al revival e alle radici?
Ho lavorato a un film con il regista Nico Beyer, in cui esamino tutti gli aspetti della scena mod. Il passato, il futuro e il presente. L'unica cosa che ho notato è che il mod non sta andando da nessuna parte. Hai parlato della ristampa dell'album “Countdown” che è stato ripubblicato nel suo quarantesimo anniversario ma si possono trovare ottimi esempi di musica mod se si torna indietro di altri trent'anni.
Il Mod esiste dal 1957, in Gran Bretagna e in molti paesi internazionali. Si pensa che la cultura mod sia una cosa esclusivamente britannica ma non lo è, assolutamente. I raduni Mod si sono estesi in Thailandia, Giappone, Messico, Israele, Brasile, Indonesia e America.
Gli anni Sessanta sono stati ormai esplorati in ogni angolo remoto. Pensi che ci sia ancora qualcosa da scoprire?
Certo, si stanno scoprendo ancora fantastici dischi soul che hanno significato molto per la gente all'epoca ma che non sono ancora stati ascoltati. Ci sono letteralmente milioni di dischi soul e rhythm and blues da scoprire.
E non c'è abbastanza tempo per ascoltarli tutti. Ma non è solo soul, è jazz, British Beat, rocksteady, ska, garage, freakbeat, brasiliano, latin sound, Batacada. C'è sempre di più.
Conosci Paul Weller fin dagli inizi. È sempre stato l'emblema del "Mod perfetto", sempre alla ricerca del Nuovo. Pensi che abbia concluso il suo percorso (vedi il nuovo album che sarà di cover) o pensi che possa ancora riservarci delle sorprese?
Paul Weller ha già fatto un album di cover in precedenza, “Studio 150”, quindi non considero questo nuovo lavoro di rifacimenti come la fine di niente. Penso che Paul sia più fresco e frizzante da quando l'ho conosciuto. Il fatto è che senza di lui io non sarei qui e nemmeno tu.
Non so cosa sia, come abbia fatto Weller, in modo che centinaia di migliaia di persone lo seguano, sia che si tratti di stile, moda, musica, attitudine e vita. Ma sono molto felice che lo abbia fatto perché da solo ha ricostituito la scena mod per noi. Davvero contento che lo abbia fatto.
Chi è il pubblico che viene ad ascoltare e ballare i vostri DJ set? Giovani, meno giovani, persone della "scena" o anche solo curiosi?
Un buon esempio dello stato delle cose sono le feste Modcast. Abbiamo mod settantenni che frequentavano club storici come “Marquee” e “Flamingo” a Londra nei primi anni Sessanta, altri che seguivano i primi gruppi del “mod revival” alla fine degli anni Settanta, altri che risalgono all'esplosione del Brit Pop a metà degli anni Novanta, fan di Oasis e Blur e altri giovani che si stanno avvicinando al soul. Puoi immaginare che abbiamo una “chiesa” molto ampia e che stiamo per invadere l'Europa.
L'Acid Jazz Records compie 40 anni. Come è nata l'idea dell'etichetta? C'erano già band che avevano quel sound o è stata l'etichetta a creare un genere unico?
Cercavo qualcosa da fare dopo aver gestito le etichette Re-Elect The President e Countdown. Ero diventato sempre più entusiasta del jazz e avevo iniziato a pubblicare cose come i Jazz Renegades e il James Taylor Quartet.
Nello stesso periodo, a Londra, c'era una scena jazz underground (parlo del 1985) con artisti come Paul Murphy, Chris Bangs e Gilles Peterson. Era una scena molto piccola e le persone si conoscevano molto bene.
Poi, quasi da un giorno all'altro, nel 1986/87, la gente scoprì l'ecstasy e fu a Ibiza che partecipai alla vacanza allo Special Branch Club di Nicky Holloway, con Pete Tong, Paul Oakenfold, Danny Rampling e gente come quella, con cui scoprivo questo nuovo sound che incominciavano a proporre alcuni Dj. La chiamavano Acid House.
La riportammo a Londra e divenne di grande successo ma dopo un po' per me quella musica è diventata noiosa. Dopo sei mesi di Acid House volevamo di più, così io e Gilles Peterson abbiamo unito la nostra passione per il jazz, a cui abbiamo cercato di dare un nuovo senso, abbiamo miscelato il tutto e l'abbiamo chiamato Acid Jazz. Quello che è successo è stato straordinario. Galliano, A Man Called Adam, Brand New Heavies, Mother Earth, Jamiroquai furono messi tutti sotto contratto il primo anno. Gilles è rimasto con me otto mesi e poi ha creato una sua etichetta, la Talking Loud, diventando il mio principale concorrente. Il resto è storia.
Ci devono essere un sacco di momenti salienti e aneddoti da gestore e DJ dell'Acid jazz Records
Certo che ci sono! Cose come fare il DJ per Paul e Linda McCartney a casa loro o farlo per il quarantesimo compleanno di Sylvester Stallone. Ero diventato un esperto delle feste di compleanno! Puoi aggiungere anche Pelé, Paul Weller e Ray Charles, tra gli altri.
Ma il mio ricordo migliore dell'Acid Jazz è riscoprire il cantante soul Terry Callier e convincerlo a uscire dal pensionamento, perché si nascondeva a Chicago e non voleva più essere trovato.
Ci sono voluti quattro mesi per convincerlo ma sono felice di averlo fatto perché poi Terry è tornato in scena e ha avuto una seconda fantastica carriera, vincendo perfino un Mercury Prize.
Era un uomo così magico e spirituale.
Il tuo libro, Clean living under difficult circumstances molto interessante e coinvolgente e ha avuto molto successo. Dovremmo aspettarci un secondo capitolo?
Al momento ne sto parlando con gli editori.
L'eventuale secondo capitolo si focalizzerà molto di più sull'attività della Acid Jazz e della serata che facevo negli anni Novanta a Londra, The Bue Note oltre a tutte le prove e tribolazioni che deve subire un mod in affari
La domanda è banale e ovvia, ma sarebbe bello sapere quali dischi porteresti sulla famosa "isola deserta". E perché?
“Think I'm Falling In Love” di Leroy Houston è semplicemente il disco soul più dolce mai realizzato da un artista, pressoché totalmente ignorato.
“I Think I'll Call It Morning From Now On” di Gil Scott Heron. Non c'è niente di meglio di quello che ha fatto Gil in questo album (“Pieces Of A man” del 1971) . Alcuni dei migliori musicisti jazz del mondo, combinati con la sua gloriosa voce, rendono questo disco semplicemente incredibile.
“Tin Soldier” degli Small Faces. C'è qualcosa di speciale nel modo in cui Steve Marriott canta questa incredibile canzone. E' innamorato e in realtà è un inno dedicato alla sua fidanzata di allora, che poi diventerà sua moglie, Jenny Rylance, per lasciare Rod Stewart e uscire invece con lui. Ha funzionato.
Con "Extraordinary Sensations" eri direttamente coinvolto nel mondo delle fanzine. Ho sempre pensato che fossero una palestra per chi sarebbe poi diventato giornalista, scrittore, grafico, fotografo. Credi anche tu nell'importanza delle fanzine, oltre al fatto che fornivano informazioni completamente diverse dalle pubblicazioni ufficiali?
Certo, le fanzine erano importanti perché coprivano argomenti che nessuna pubblicazione ufficiale avrebbe mai trattato. Erano scritte dai ragazzi per i ragazzi e non contenevano quindi nessuna di quella merda che troviamo sulla stampa ufficiale. Ho scritto un libro, pubblicato da Omnibus, intitolato “Modzines” che esamina la cultura delle fanzine in modo più dettagliato.
Nel Regno Unito c'erano migliaia di fanzines solo nel mondo mod, senza parlare di Italia, Spagna, Francia, Europa, America. La lista è infinita. Oggi non si vedono più perché la lro funzione è affidata ai blog su internet.
La recente ristampa della compilation con il meglio della tua Countdown Records e diverse altre raccolte legate al "suono mod" testimoniano che c'è sempre interesse per questo settore. Cosa pensi della cultura mod nel 2025?
Si è rinnovata o rimane ancorata al revival e alle radici?
Ho lavorato a un film con il regista Nico Beyer, in cui esamino tutti gli aspetti della scena mod. Il passato, il futuro e il presente. L'unica cosa che ho notato è che il mod non sta andando da nessuna parte. Hai parlato della ristampa dell'album “Countdown” che è stato ripubblicato nel suo quarantesimo anniversario ma si possono trovare ottimi esempi di musica mod se si torna indietro di altri trent'anni.
Il Mod esiste dal 1957, in Gran Bretagna e in molti paesi internazionali. Si pensa che la cultura mod sia una cosa esclusivamente britannica ma non lo è, assolutamente. I raduni Mod si sono estesi in Thailandia, Giappone, Messico, Israele, Brasile, Indonesia e America.
Gli anni Sessanta sono stati ormai esplorati in ogni angolo remoto. Pensi che ci sia ancora qualcosa da scoprire?
Certo, si stanno scoprendo ancora fantastici dischi soul che hanno significato molto per la gente all'epoca ma che non sono ancora stati ascoltati. Ci sono letteralmente milioni di dischi soul e rhythm and blues da scoprire.
E non c'è abbastanza tempo per ascoltarli tutti. Ma non è solo soul, è jazz, British Beat, rocksteady, ska, garage, freakbeat, brasiliano, latin sound, Batacada. C'è sempre di più.
Conosci Paul Weller fin dagli inizi. È sempre stato l'emblema del "Mod perfetto", sempre alla ricerca del Nuovo. Pensi che abbia concluso il suo percorso (vedi il nuovo album che sarà di cover) o pensi che possa ancora riservarci delle sorprese?
Paul Weller ha già fatto un album di cover in precedenza, “Studio 150”, quindi non considero questo nuovo lavoro di rifacimenti come la fine di niente. Penso che Paul sia più fresco e frizzante da quando l'ho conosciuto. Il fatto è che senza di lui io non sarei qui e nemmeno tu.
Non so cosa sia, come abbia fatto Weller, in modo che centinaia di migliaia di persone lo seguano, sia che si tratti di stile, moda, musica, attitudine e vita. Ma sono molto felice che lo abbia fatto perché da solo ha ricostituito la scena mod per noi. Davvero contento che lo abbia fatto.
Chi è il pubblico che viene ad ascoltare e ballare i vostri DJ set? Giovani, meno giovani, persone della "scena" o anche solo curiosi?
Un buon esempio dello stato delle cose sono le feste Modcast. Abbiamo mod settantenni che frequentavano club storici come “Marquee” e “Flamingo” a Londra nei primi anni Sessanta, altri che seguivano i primi gruppi del “mod revival” alla fine degli anni Settanta, altri che risalgono all'esplosione del Brit Pop a metà degli anni Novanta, fan di Oasis e Blur e altri giovani che si stanno avvicinando al soul. Puoi immaginare che abbiamo una “chiesa” molto ampia e che stiamo per invadere l'Europa.
L'Acid Jazz Records compie 40 anni. Come è nata l'idea dell'etichetta? C'erano già band che avevano quel sound o è stata l'etichetta a creare un genere unico?
Cercavo qualcosa da fare dopo aver gestito le etichette Re-Elect The President e Countdown. Ero diventato sempre più entusiasta del jazz e avevo iniziato a pubblicare cose come i Jazz Renegades e il James Taylor Quartet.
Nello stesso periodo, a Londra, c'era una scena jazz underground (parlo del 1985) con artisti come Paul Murphy, Chris Bangs e Gilles Peterson. Era una scena molto piccola e le persone si conoscevano molto bene.
Poi, quasi da un giorno all'altro, nel 1986/87, la gente scoprì l'ecstasy e fu a Ibiza che partecipai alla vacanza allo Special Branch Club di Nicky Holloway, con Pete Tong, Paul Oakenfold, Danny Rampling e gente come quella, con cui scoprivo questo nuovo sound che incominciavano a proporre alcuni Dj. La chiamavano Acid House.
La riportammo a Londra e divenne di grande successo ma dopo un po' per me quella musica è diventata noiosa. Dopo sei mesi di Acid House volevamo di più, così io e Gilles Peterson abbiamo unito la nostra passione per il jazz, a cui abbiamo cercato di dare un nuovo senso, abbiamo miscelato il tutto e l'abbiamo chiamato Acid Jazz. Quello che è successo è stato straordinario. Galliano, A Man Called Adam, Brand New Heavies, Mother Earth, Jamiroquai furono messi tutti sotto contratto il primo anno. Gilles è rimasto con me otto mesi e poi ha creato una sua etichetta, la Talking Loud, diventando il mio principale concorrente. Il resto è storia.
Ci devono essere un sacco di momenti salienti e aneddoti da gestore e DJ dell'Acid jazz Records
Certo che ci sono! Cose come fare il DJ per Paul e Linda McCartney a casa loro o farlo per il quarantesimo compleanno di Sylvester Stallone. Ero diventato un esperto delle feste di compleanno! Puoi aggiungere anche Pelé, Paul Weller e Ray Charles, tra gli altri.
Ma il mio ricordo migliore dell'Acid Jazz è riscoprire il cantante soul Terry Callier e convincerlo a uscire dal pensionamento, perché si nascondeva a Chicago e non voleva più essere trovato.
Ci sono voluti quattro mesi per convincerlo ma sono felice di averlo fatto perché poi Terry è tornato in scena e ha avuto una seconda fantastica carriera, vincendo perfino un Mercury Prize.
Era un uomo così magico e spirituale.
Il tuo libro, Clean living under difficult circumstances molto interessante e coinvolgente e ha avuto molto successo. Dovremmo aspettarci un secondo capitolo?
Al momento ne sto parlando con gli editori.
L'eventuale secondo capitolo si focalizzerà molto di più sull'attività della Acid Jazz e della serata che facevo negli anni Novanta a Londra, The Bue Note oltre a tutte le prove e tribolazioni che deve subire un mod in affari
La domanda è banale e ovvia, ma sarebbe bello sapere quali dischi porteresti sulla famosa "isola deserta". E perché?
“Think I'm Falling In Love” di Leroy Houston è semplicemente il disco soul più dolce mai realizzato da un artista, pressoché totalmente ignorato.
“I Think I'll Call It Morning From Now On” di Gil Scott Heron. Non c'è niente di meglio di quello che ha fatto Gil in questo album (“Pieces Of A man” del 1971) . Alcuni dei migliori musicisti jazz del mondo, combinati con la sua gloriosa voce, rendono questo disco semplicemente incredibile.
“Tin Soldier” degli Small Faces. C'è qualcosa di speciale nel modo in cui Steve Marriott canta questa incredibile canzone. E' innamorato e in realtà è un inno dedicato alla sua fidanzata di allora, che poi diventerà sua moglie, Jenny Rylance, per lasciare Rod Stewart e uscire invece con lui. Ha funzionato.
Con "Extraordinary Sensations" eri direttamente coinvolto nel mondo delle fanzine. Ho sempre pensato che fossero una palestra per chi sarebbe poi diventato giornalista, scrittore, grafico, fotografo. Credi anche tu nell'importanza delle fanzine, oltre al fatto che fornivano informazioni completamente diverse dalle pubblicazioni ufficiali?
Certo, le fanzine erano importanti perché coprivano argomenti che nessuna pubblicazione ufficiale avrebbe mai trattato. Erano scritte dai ragazzi per i ragazzi e non contenevano quindi nessuna di quella merda che troviamo sulla stampa ufficiale. Ho scritto un libro, pubblicato da Omnibus, intitolato “Modzines” che esamina la cultura delle fanzine in modo più dettagliato.
Nel Regno Unito c'erano migliaia di fanzines solo nel mondo mod, senza parlare di Italia, Spagna, Francia, Europa, America. La lista è infinita. Oggi non si vedono più perché la lro funzione è affidata ai blog su internet.
Etichette:
Le interviste
martedì, agosto 26, 2025
Intervista a Luca Sapio
Riprendo l'intervista che ho fatto a LUCA SAPIO per "Il Manifesto", sezione "Alias", lo scorso sabato.
Luca Sapio, musicista, cantante, cultore della vocalità più sperimentale, produttore, conduttore radiofonico, gestore di un'etichetta indipendente, ha costruito la sua carriera con un lungo periodo di studi e ricerche.
Esperto di tecniche vocali che gli permettono di entrare nel 1999 come cantante negli Area, prendendo il posto che fu del maestro della voce, Demetrio Stratos.
Collabora con diversi jazzisti del panorama internazionale, dopo la laurea viaggia a lungo negli States e nel 2009 entra nei Quintorigo (con cui incide l'album “English Garden”) per dare poi vita al duo Black Friday. Pubblica il suo primo album solista “Who Knows” nel 2012.
A partire dal Settembre 2013 è autore e conduttore della trasmissione radiofonica Latitudine Black su radio RAI 2 e successivamente della storica trasmissione Stereonotte su Radio Rai. Ha fondato una sua etichetta, la Blind Faith Records e ha da poco pubblicato il suo nuovo album “Black Waves”.
Luca Sapio è un artista a 360 gradi che ha avuto al primo posto delle sue preferenze artistiche (vedi il recente album “Black Waves”) la soul music.
Riguardo alla quale ha un'opinione molto netta e pessimista:
Il soul in Italia non interessa a nessuno.
Non abbiamo raccolto l’eredità straordinaria della musica italiana capace di imporsi oltreconfine, un ventennio che dagli anni sessanta agli ottanta, dalle colonne sonore al jazz, passando per i gruppi beat e progressive, fino all’Italo disco era apprezzata e rispettata ovunque. Abbiamo esportato tonnellate di dischi. Oggi la maggior parte degli Italiani ascolta musica evanescente talmente inconsistente che evapora dopo qualche settimana dalla sua pubblicazione. Nulla di quello che ascoltano oggi resterà domani. Quando mi chiamarono per fare la storica trasmissione Latitudine Soul, l’illuminato direttore Rai di allora mi disse testualmente:“La musica soul è la meno ascoltata d’Italia. Facciamo evangelizzazione”.
Non è un caso che Il Porretta Soul Festival sia frequentato soprattutto da stranieri che arrivano da ogni parte del mondo per godere degli straordinari cartelloni montati a regola da Graziano Uliani.
Un artista della sua esperienza, soprattutto in un contesto che ha fatto spesso del “messaggio” una delle principali ragioni d'essere, riesce ad essere particolarmente lucido su quello che accade ai nostri giorni:
Oggi la musica non fa più paura a nessuno mentre un tempo aveva una forza inaudita. Dopo l’assassinio di Martin Luther King con le bronzeville americane in fiamme James Brown ferma prima la rivolta di Boston e poi calma gli animi dei ghetti neri più infuriati diventando un referente per Richard Nixon.
Nella Jamaica in balia delle gang sanguinarie emissarie del partito laburista Bob Marley dal palco del One love distende gli animi facendo stringere le mani ai due leader politici avversari e di fatto chiamando una tregua.
Ancora in America, durante le proteste per l’inammissibile omicidio di Rodney King da parte della polizia i NWA con la loro “fuck the police” fanno orgogliosi da endorsement al movimento. Oggi la musica ha perduto la componente “attivista”.
Il mondo sta bruciando letteralmente e nessuno ne canta.
Gli artisti sembrano anzi evitare accuratamente di prendere qualsiasi posizione. Penso alle produzioni soul di oggi, il livello musicale e creativo e’ altissimo, ma quello che manca e’ il famoso dito sulla pulsazione del presente.
Un tempo i movimenti politici chiedevano agli artisti di schierarsi, di utilizzare la loro visibilita’ per sensibilizzare una causa.
Sam Cooke, Curtis Mayfield, Marvin Gaye, Gil Scott Heron sono tra i casi piu’ eclatanti di quelli che raccolsero l’invito. Forse oggi quello che manca e’ una classe politica che comprenda quanto la musica possa essere un medium potentissimo e riesca ad interfacciarsi con le nuove generazioni, in fondo saranno loro a guidare il mondo di domani.
Il citato nuovo album “Black Waves” è un lavoro raffinatissimo, elegante, avvolgente, perfettamente affine al gusto dei primi anni Settanta caro a Marvin Gaye, Curtis Mayfield, Temptations, Ohio Players, di grande respiro internazionale.
>“Black waves” e’ stato un disco dalla gestazione complessa. la pandemia mi ha isolato per forza di cose e ho lavorato molto da solo rispetto al passato. mi sono ritrovato a fare il produttore di me stesso ed e’ stato piuttosto difficile.
Ho avuto fortunatamente il supporto di alcuni musicisti chiave.
Ho avuto fortunatamente il supporto di alcuni musicisti chiave come il mio storico collaboratore polistrumentista Claudio Giusti che ha scritto tutti gli arrangiamenti dei fiati, il maestro Marco Tiso che si e’ occupato degli archi e della loro direzione, Pierpaolo Ranieri al basso, ma anche il leggendario veterano della Motown Dennis Coffey, il chitarrista Rob Harris dei Jamiroquai.
Tutti interlocutori validissimi e straordinari musicisti che mi hanno accompagnato dove volevo arrivare.
Interessante capire come Luca sia arrivato alla soul music, da sempre presente nell'humus discografico italiano (basti pensare agli anni Sessanta di Rocky Roberts, ai Settanta di Lucio Battisti, al Neapolitan Power funk, a quello più commerciale di Zucchero e alle decine di nuove band che viaggiano su quei sentieri) ma rimasto comunque in un contesto di nicchia
Sono cresciuto nell’apice massimo della rivoluzione Hip Hop.
Da ragazzino guardavo Mtv rap e da adolescente compravo dischi nei quali spesso ritrovavo canzoni che avevo sentito spulciando tra i dischi di mio padre che aveva una rispettabile collezione di musica jazz e qualche classico del soul.
Sono andato dunque a ritroso, un impresa molto difficile in era pre internet. Faccio parte di quelli che scrivevano a mano ai negozi di dischi oltreoceano per farsi mandare cataloghi e che passavano giornate nei negozi sperando di carpire più informazioni possibili guardando i crediti delle copertine.
Come già specificato l'attività di Sapio abbraccia anche (e soprattutto) l'aspetto produttivo, espresso al meglio con la sua Blind Faith Records.
Mi consente di pensare in maniera sartoriale cercando di cucire addosso ad un artista un vestito che lo valorizzi al massimo. questo ha anche affinato molto la mia scrittura e la mia tecnica di ripresa e mixaggio visto che sono produzioni in cui firmo tutti i brani li registro e mixo personalmente. Ovviamente e’ una sfida.
E’ un mercato esattamente di nicchia che si muove nell’ordine di poche centinaia di copie fisiche, ma capita spesso che qualche brano venga utilizzato in una serie televisiva o in una pubblicità.
Un aspetto che riguarda (talvolta drammaticamente) molti nostri artisti è l'impossibilità o quasi di “vivere di musica”. Un personaggio con il suo spessore e curriculum ce la farà? No. Bisogna diversificare.
Io tra le mie produzioni, brani che ho firmato per altri ho raggiunto la scorsa settimana i 70 milioni di streaming solo su Spotify. Una volta con sette milioni di dischi venduti ti compravi un quartiere.
Oggi al massimo posso offrire una giornata a Ostia ai miei musicisti.
Io ho uno studio di registrazione, una società di edizioni, lavoro in radio, faccio consulenze, se facessi solo Luca Sapio cantante vivrei lo stress incredibile di dover inseguire le logiche di un mercato senza logica e del tutto imprevedibile.
Infine una riflessione sull'“invasione” dell'Intelligenza Artificiale che si teme possa rendere sempre più obsoleta la figura di operatori dell'arte, della musica, dello spettacolo, che hanno fatto della loro “artigianalità” la peculiarità creativa principale.
E’ un pò come dire che l’invenzione nel 1800 della macchina fotografica ha reso la pittura obsoleta. Mi sembra che tutta la pittura del Novecento sia la risposta più evidente.
L’AI è un tool straordinario che consente di fare cose straordinarie ma per far si che accada bisogna usare i prompt giusti, bisogna allenarla con i riferimenti giusti. Se il panettiere sotto casa scrive a SUNO di fargli un pezzo probabilmente SUNO elaborerà qualcosa che supererà le sue aspettative, e quelle dei suoi amici, qualcosa di impensabile per lui, ma non sarà mai il bianco dei Beatles né Kind Of Blue di Miles.
Se a scrivere il prompt è invece qualcuno che ha nozioni armonico melodiche e artisticità le cose cambiano e i risultati possono davvero essere incredibili.
Ad esempio inserire una buon demo può dare spunti inaspettati e suggerire strade molto creative. Sono decisamente a favore dell'AI.
Luca Sapio, musicista, cantante, cultore della vocalità più sperimentale, produttore, conduttore radiofonico, gestore di un'etichetta indipendente, ha costruito la sua carriera con un lungo periodo di studi e ricerche.
Esperto di tecniche vocali che gli permettono di entrare nel 1999 come cantante negli Area, prendendo il posto che fu del maestro della voce, Demetrio Stratos.
Collabora con diversi jazzisti del panorama internazionale, dopo la laurea viaggia a lungo negli States e nel 2009 entra nei Quintorigo (con cui incide l'album “English Garden”) per dare poi vita al duo Black Friday. Pubblica il suo primo album solista “Who Knows” nel 2012.
A partire dal Settembre 2013 è autore e conduttore della trasmissione radiofonica Latitudine Black su radio RAI 2 e successivamente della storica trasmissione Stereonotte su Radio Rai. Ha fondato una sua etichetta, la Blind Faith Records e ha da poco pubblicato il suo nuovo album “Black Waves”.
Luca Sapio è un artista a 360 gradi che ha avuto al primo posto delle sue preferenze artistiche (vedi il recente album “Black Waves”) la soul music.
Riguardo alla quale ha un'opinione molto netta e pessimista:
Il soul in Italia non interessa a nessuno.
Non abbiamo raccolto l’eredità straordinaria della musica italiana capace di imporsi oltreconfine, un ventennio che dagli anni sessanta agli ottanta, dalle colonne sonore al jazz, passando per i gruppi beat e progressive, fino all’Italo disco era apprezzata e rispettata ovunque. Abbiamo esportato tonnellate di dischi. Oggi la maggior parte degli Italiani ascolta musica evanescente talmente inconsistente che evapora dopo qualche settimana dalla sua pubblicazione. Nulla di quello che ascoltano oggi resterà domani. Quando mi chiamarono per fare la storica trasmissione Latitudine Soul, l’illuminato direttore Rai di allora mi disse testualmente:“La musica soul è la meno ascoltata d’Italia. Facciamo evangelizzazione”.
Non è un caso che Il Porretta Soul Festival sia frequentato soprattutto da stranieri che arrivano da ogni parte del mondo per godere degli straordinari cartelloni montati a regola da Graziano Uliani.
Un artista della sua esperienza, soprattutto in un contesto che ha fatto spesso del “messaggio” una delle principali ragioni d'essere, riesce ad essere particolarmente lucido su quello che accade ai nostri giorni:
Oggi la musica non fa più paura a nessuno mentre un tempo aveva una forza inaudita. Dopo l’assassinio di Martin Luther King con le bronzeville americane in fiamme James Brown ferma prima la rivolta di Boston e poi calma gli animi dei ghetti neri più infuriati diventando un referente per Richard Nixon.
Nella Jamaica in balia delle gang sanguinarie emissarie del partito laburista Bob Marley dal palco del One love distende gli animi facendo stringere le mani ai due leader politici avversari e di fatto chiamando una tregua.
Ancora in America, durante le proteste per l’inammissibile omicidio di Rodney King da parte della polizia i NWA con la loro “fuck the police” fanno orgogliosi da endorsement al movimento. Oggi la musica ha perduto la componente “attivista”.
Il mondo sta bruciando letteralmente e nessuno ne canta.
Gli artisti sembrano anzi evitare accuratamente di prendere qualsiasi posizione. Penso alle produzioni soul di oggi, il livello musicale e creativo e’ altissimo, ma quello che manca e’ il famoso dito sulla pulsazione del presente.
Un tempo i movimenti politici chiedevano agli artisti di schierarsi, di utilizzare la loro visibilita’ per sensibilizzare una causa.
Sam Cooke, Curtis Mayfield, Marvin Gaye, Gil Scott Heron sono tra i casi piu’ eclatanti di quelli che raccolsero l’invito. Forse oggi quello che manca e’ una classe politica che comprenda quanto la musica possa essere un medium potentissimo e riesca ad interfacciarsi con le nuove generazioni, in fondo saranno loro a guidare il mondo di domani.
Il citato nuovo album “Black Waves” è un lavoro raffinatissimo, elegante, avvolgente, perfettamente affine al gusto dei primi anni Settanta caro a Marvin Gaye, Curtis Mayfield, Temptations, Ohio Players, di grande respiro internazionale.
>“Black waves” e’ stato un disco dalla gestazione complessa. la pandemia mi ha isolato per forza di cose e ho lavorato molto da solo rispetto al passato. mi sono ritrovato a fare il produttore di me stesso ed e’ stato piuttosto difficile.
Ho avuto fortunatamente il supporto di alcuni musicisti chiave.
Ho avuto fortunatamente il supporto di alcuni musicisti chiave come il mio storico collaboratore polistrumentista Claudio Giusti che ha scritto tutti gli arrangiamenti dei fiati, il maestro Marco Tiso che si e’ occupato degli archi e della loro direzione, Pierpaolo Ranieri al basso, ma anche il leggendario veterano della Motown Dennis Coffey, il chitarrista Rob Harris dei Jamiroquai.
Tutti interlocutori validissimi e straordinari musicisti che mi hanno accompagnato dove volevo arrivare.
Interessante capire come Luca sia arrivato alla soul music, da sempre presente nell'humus discografico italiano (basti pensare agli anni Sessanta di Rocky Roberts, ai Settanta di Lucio Battisti, al Neapolitan Power funk, a quello più commerciale di Zucchero e alle decine di nuove band che viaggiano su quei sentieri) ma rimasto comunque in un contesto di nicchia
Sono cresciuto nell’apice massimo della rivoluzione Hip Hop.
Da ragazzino guardavo Mtv rap e da adolescente compravo dischi nei quali spesso ritrovavo canzoni che avevo sentito spulciando tra i dischi di mio padre che aveva una rispettabile collezione di musica jazz e qualche classico del soul.
Sono andato dunque a ritroso, un impresa molto difficile in era pre internet. Faccio parte di quelli che scrivevano a mano ai negozi di dischi oltreoceano per farsi mandare cataloghi e che passavano giornate nei negozi sperando di carpire più informazioni possibili guardando i crediti delle copertine.
Come già specificato l'attività di Sapio abbraccia anche (e soprattutto) l'aspetto produttivo, espresso al meglio con la sua Blind Faith Records.
Mi consente di pensare in maniera sartoriale cercando di cucire addosso ad un artista un vestito che lo valorizzi al massimo. questo ha anche affinato molto la mia scrittura e la mia tecnica di ripresa e mixaggio visto che sono produzioni in cui firmo tutti i brani li registro e mixo personalmente. Ovviamente e’ una sfida.
E’ un mercato esattamente di nicchia che si muove nell’ordine di poche centinaia di copie fisiche, ma capita spesso che qualche brano venga utilizzato in una serie televisiva o in una pubblicità.
Un aspetto che riguarda (talvolta drammaticamente) molti nostri artisti è l'impossibilità o quasi di “vivere di musica”. Un personaggio con il suo spessore e curriculum ce la farà? No. Bisogna diversificare.
Io tra le mie produzioni, brani che ho firmato per altri ho raggiunto la scorsa settimana i 70 milioni di streaming solo su Spotify. Una volta con sette milioni di dischi venduti ti compravi un quartiere.
Oggi al massimo posso offrire una giornata a Ostia ai miei musicisti.
Io ho uno studio di registrazione, una società di edizioni, lavoro in radio, faccio consulenze, se facessi solo Luca Sapio cantante vivrei lo stress incredibile di dover inseguire le logiche di un mercato senza logica e del tutto imprevedibile.
Infine una riflessione sull'“invasione” dell'Intelligenza Artificiale che si teme possa rendere sempre più obsoleta la figura di operatori dell'arte, della musica, dello spettacolo, che hanno fatto della loro “artigianalità” la peculiarità creativa principale.
E’ un pò come dire che l’invenzione nel 1800 della macchina fotografica ha reso la pittura obsoleta. Mi sembra che tutta la pittura del Novecento sia la risposta più evidente.
L’AI è un tool straordinario che consente di fare cose straordinarie ma per far si che accada bisogna usare i prompt giusti, bisogna allenarla con i riferimenti giusti. Se il panettiere sotto casa scrive a SUNO di fargli un pezzo probabilmente SUNO elaborerà qualcosa che supererà le sue aspettative, e quelle dei suoi amici, qualcosa di impensabile per lui, ma non sarà mai il bianco dei Beatles né Kind Of Blue di Miles.
Se a scrivere il prompt è invece qualcuno che ha nozioni armonico melodiche e artisticità le cose cambiano e i risultati possono davvero essere incredibili.
Ad esempio inserire una buon demo può dare spunti inaspettati e suggerire strade molto creative. Sono decisamente a favore dell'AI.
Etichette:
Le interviste
venerdì, agosto 22, 2025
Lo sgombero del Leoncavallo
Ho frequentato Centri Sociali di ogni tipo su e giù per l'Italia, Germania, Belgio, altri luoghi.
Per suonarci, vedere concerti o altri eventi.
Ho incontrato disorganizzazioni pazzesche e luoghi impeccabili, situazioni deprecabili e vere eccellenze, ci ho mangiato e dormito con risultati antitetici, gli aneddoti si potrebbero sprecare. Lo sgombero del Leoncavallo è un prevedibile tassello di un'epoca che si chiude, di una modalità operativa e comunicativa che si è trasformata, di una società sempre più turbocapitalista in cui le situazioni non conformi non sono più accettate.
Rimane però intatta l'esigenza di "magnifiche illusioni", di spazi condivisi, socialità, autogestione, del diritto di sbagliare, di costruire qualcosa che non venga concesso dall'alto mediante carte bollate.
Io sono vecchio ma sosterrò sempre con entusiasmo iniziative che rappresentino questo spirito.
Per suonarci, vedere concerti o altri eventi.
Ho incontrato disorganizzazioni pazzesche e luoghi impeccabili, situazioni deprecabili e vere eccellenze, ci ho mangiato e dormito con risultati antitetici, gli aneddoti si potrebbero sprecare. Lo sgombero del Leoncavallo è un prevedibile tassello di un'epoca che si chiude, di una modalità operativa e comunicativa che si è trasformata, di una società sempre più turbocapitalista in cui le situazioni non conformi non sono più accettate.
Rimane però intatta l'esigenza di "magnifiche illusioni", di spazi condivisi, socialità, autogestione, del diritto di sbagliare, di costruire qualcosa che non venga concesso dall'alto mediante carte bollate.
Io sono vecchio ma sosterrò sempre con entusiasmo iniziative che rappresentino questo spirito.
Iscriviti a:
Post (Atom)